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Il Museo Ebraico ricorda Paola Levi Montalcini

All’artista Paola Levi Montalcini (1909-2000), nata a Torino con la gemella Rita, ultima dei quattro figli di Adamo Levi e Adele Montalcini, il Museo Ebraico di Roma dedica una mostra. A partire da domenica, quando verrà inaugurata, e fino al prosimo 31 ottobre, l’istituzione museale presenterà una serie di opere scelte, in prestito dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma, parte delle Morsure su rame, un ciclo realizzato durante gli anni Settanta del Novecento. In questa serie l’artista coniuga l’astratto codice delle lettere recuperate dalle scritture antiche e dai segni alfabetici di diverse culture, con il linguaggio matematico e le forme geometriche come curve, vortici e spirali. Un interesse che nasce dai primi studi di semiotica avviati da Levi Montalcini negli anni Cinquanta, come ci suggeriscono gli stessi titoli delle opere, e che la porteranno da quel momento a lavorare sulla commistione di lettere e segni intesi come un unico linguaggio pittorico. Le opere, donate da Rita Levi Montalcini nel 2000, sono state esposte per la prima volta nella mostra Paola Levi Montalcini, a cura di Federica Di Castro, presso l’Istituto Nazionale per la Grafica (1980).

In Scrittura e curve (1976), le scritture arabe corsive sono organizzate in figure geometriche che ci restituiscono una particolare combinazione tra matematica e semiotica. Libro aperto (1977), da cui prende spunto il titolo della mostra, ha un supporto irregolare che consente all’artista di esplorare ipotesi spaziali antiprospettiche, laddove un testo ebraico si sovrappone al linguaggio matematico sintetizzato in una curva. In Galassia Gutenberg (1978), mediante l’uso di grandi segni indecifrabili, l’artista approfondisce il tema della comunicazione rifacendosi al celebre trattato del sociologo Marshall McLuhan del 1962. Infine Interferenze (1979), è caratterizzata da parabole compresse tra assi cartesiani i cui punti sono contrassegnati da lettere alfabetiche maiuscole, come avviene nella rappresentazione grafica delle funzioni.

Dunque quattro lavori che indagano quattro linguaggi distinti. L’arabo rimanda ad un’antica scrittura, così come il testo ebraico che ci suggerisce una realtà che nasce dalla parola: nella Genesi il Signore si esprime e le cose cominciano ad esistere. Con l’invenzione di nuovi caratteri, invece, l’artista sconfina nella sociologia e critica letteraria; mentre l’uso dell’alfabeto latino viene usato in maniera razionale quanto lo è la matematica. Rilevante è anche la tecnica impiegata dall’artista (morsura su lastra di rame, supporto plastico e legno) che, come rivela Argan “non discende dalla pittura ma dalla grafica e tuttavia, al contrario della grafica, non è ripetizione dell’uno nel molteplice ma riduzione all’uno”. L’opera ritorna così ad essere un unicum riacquisendo quell’aura scomparsa nell’era della sua riproducibilità tecnica.

La ricerca di Levi Montalcini fa riflettere sulla dissoluzione dei linguaggi e l’arbitrarietà del segno linguistico. L’artista, indagando la dimensione enigmatica dei segni, si pone il problema della loro decifrabilità, dando luogo ad un sistema complesso che assurge l’arte a mezzo di ricerca e proseguimento di conoscenza.


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