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Cosa è successo davvero allo Ior fra Ratzinger, Bertone e Gotti Tedeschi?

Quel pasticciaccio brutto dello Ior. Escono le memorie di Benedetto XVI (il volume Ultime conversazioni scritto con Peter Seewald) e si apprende dalla viva voce del Papa emerito che fu sua l’idea di cambiare i vertici dello Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, nel lontano 2012. Defenestrando, il 24 maggio di quell’anno, l’allora presidente Ettore Gotti Tedeschi. Una versione che scagiona l’allora Segretario di Stato Tarcisio Bertone, indicato in passato di essere stato lui l’autore dell’affondamento dell’economista piacentino.

LA RICOSTRUZIONE DI TORNIELLI

La sintesi delle ultime vicende è offerta da un pezzo di Andrea Tornielli pubblicato su Vatican Insider. Il vaticanista de La Stampa spiega, libro di Seewald alla mano: “Un esempio finora sfuggito ai recensori del libro riguarda l’Istituto per le Opere di Religione. Una certa vulgata ha fatto passare l’idea che la clamorosa destituzione del presidente Ettore Gotti Tedeschi (nominato nel 2009, e dunque in pieno pontificato ratzingeriano), avvenuta con modalità a dir poco discutibili, sia stata frutto di un complotto ordito dal cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Una decisione che Benedetto XVI avrebbe subito, incapace di reagire. Ma a pagina 209 del libro intervista, il Papa emerito risponde senza tentennamenti a Seewald, rivendicando la scelta: «Per me lo Ior è stato fin dall’inizio un grosso punto di domanda, e ho tentato di riformarlo. Non sono operazioni che si portano a termine rapidamente perché è necessario impratichirsi. È stato importante aver allontanato la precedente dirigenza. Bisognava rinnovare i vertici e mi è sembrato giusto, per molte ragioni, non mettere più un italiano alla guida della banca. Posso dire che la scelta del barone Freyberg si è rivelata un’ottima soluzione». «È stata una sua idea?», chiede il giornalista. «Sì» risponde Ratzinger”.

LE ULTIME CONFESSIONI DI RATZINGER SULLO IOR

Dunque – secondo le “ultime confessioni” di Ratzinger  – Papa Benedetto XVI ha deciso di sua volontà di cacciare Gotti Tedeschi, per procedere poi alla nomina di Ernst von Freyberg, avvenuta poco prima che le sue clamorose dimissioni divenissero effettive il 28 febbraio 2013. Si tratta di una nomina del 15 febbraio 2013 (le dimissioni sono dell’11 febbraio), ma – come si sa – il Papa è nella pienezza dei suoi poteri fino all’ultimo istante di vita o, nel caso di Ratzinger, fino alle ore 19, 59 minuti primi e 59 secondi del 28 febbraio 2013, visto che le dimissioni entrarono in vigore alle ore 20.00. Si può certo discutere sull’opportunità di una scelta, avvenuta dopo una vacanza di 9 mesi, che di fatto ha in un certo senso legato le mani al successore Francesco. Ma anche qui si può rispondere che il nuovo Papa, in quanto titolare della potestà piena, suprema, assoluta e contro le cui decisioni nessuno può fare ricorso, ha potuto cambiare l’assetto dell’Istituto. E lo ha fatto, infatti, quando il 9 luglio 2014 ha provveduto alla nomina di Jean Baptiste de Franssu, attuale presidente dell’Istituto.

COSA DISSE PADRE GEORG

Ma l’ultima confessione di Ratzinger sulla questione è differente dalle precedenti. Il 22 ottobre 2013 ecco la testimonianza di monsignor Georg Gänswein, Prefetto della Casa pontificia e segretario di Papa Ratzinger, che in un’intervista con Il Messaggero dice: “Ricordo bene quel 24 maggio. Quel giorno vi fu anche l’arresto del nostro aiutante di camera Paolo Gabriele. Contrariamente a quello che si pensa, non vi è nessun nesso tra i due eventi, semmai solo una coincidenza sfortunata, persino diabolica. Benedetto XVI che aveva chiamato Gotti allo Ior per portare avanti la politica della trasparenza restò sorpreso, molto sorpreso per l’atto di sfiducia al professore”. E ancora: “Il Papa lo stimava e gli voleva bene, ma per il rispetto delle competenze di chi aveva responsabilità scelse di non intervenire in quel momento. Successivamente alla sfiducia il Papa, per motivi di opportunità anche se non ha mai ricevuto Gotti ha mantenuto i contatti con lui in modo adatto e discreto.” Ma non è tutto. A quanto pare, Ratzinger era talmente addolorato che, successivamente, nel dicembre del 2012, chiese al Segretario di Stato, Bertone (a capo anche del consiglio cardinalizio di vigilanza dello Ior) di riabilitare in qualche modo il professore, di studiare un modo adeguato per riparare Gotti del male ricevuto.

LA VERSIONE DI GOTTI

Non solo; Gotti Tedeschi, nel 2015, ha raccontato la sua versione dei fatti al Catholic Herald, giornale cattolico inglese. Una lunga e dettagliata ricostruzione, diretta all’attuale ministro delle finanze vaticane cardinale George Pell. Ecco come parla della sua cacciata: “Vorrei ora chiarire, sempre per utilità del Cardinale Pell, la relazione tra la Banca Vaticana e il cosiddetto scandalo Vatileaks, in cui il cameriere del Papa, come è stato sentenziato, fece uscire documenti sensibili dalle mura vaticane. I giornali italiani pubblicarono un documento interno della Banca Vaticana (sulla relazione tra AIF e IOR) (…). Al fine di minare la mia credibilità, accusarono me di essere il “corvo” e di aver fatto uscire i documenti. Ciò era ovviamente falso, e così richiesi una immediata indagine. Non accadde nulla. Successivamente si dimostrò che i documenti erano stati fatti uscire dal cameriere del Papa”.

LA RICOSTRUZIONE DELL’ECONOMISTA

Qui Gotti parla evidentemente del primo scandalo Vatileaks, che coinvolse il maggiordomo Paolo Gabriele alias “Paoletto”. Ma poi parla più in profondità della sua defenestrazione: “Vennero poi date nove ingannevoli ragioni per la mia successiva rimozione. Tra queste, fui accusato di non aver compiuto il mio dovere, di non aver tenuto informato il Consiglio dello IOR, e di avere tenuto una cattiva relazione con il management. Una delle ragioni si riferiva anche alla fuoriuscita dei documenti, nonostante fosse poi stato dimostrato che la responsabilità era di qualcun altro. Il Cardinale Pell ha probabilmente bisogno di essere informato anche di quella che ritengo essere una ragione che potrebbe in parte spiegare la decisione del Consiglio dello IOR di sfiduciarmi”.

LO IOR, PELL E IO. PARLA GOTTI TEDESCHI

Vediamo i fatti secondo Gotti: “Nell’Aprile del 2012 la Commissione Cardinalizia riconfermò la mia nomina, ma il 24 Maggio il Consiglio mi cacciò. Non mi è mai stata data la possibilità di spiegarlo, ma credo che la ragione di tale gesto fu la mia decisione (anticipata a chi di dovere) di presentare al Consiglio una proposta che avrebbe completamente cambiato il governo della Banca. Questo cambiamento era assolutamente necessario visti gli eventi precedenti”. E chiude: “Comunque, il Cardinale Pell potrebbe non sapere che la Commissione Cardinalizia non ratificò il voto di sfiducia verso di me del Consiglio dello IOR. Alcuni Cardinali infatti mi sostenevano nei miei sforzi e nella mia professionalità e si rifiutarono di approvare una tale decisione. Forse non sa nemmeno che non mi fu mai concesso di rispondere in persona alle nove ragioni di sfiducia, nonostante molteplici richieste da parte mia e nonostante una nota scritta da me a riguardo e che non fu mai considerata”.

LA VERSIONE DI PADRE GEORG

Ma Gotti ricorda anche l’intervista di monsignor Georg al Messaggero: “Vorrei incoraggiare Sua Eminenza a leggere l’intervista del segretario del Papa, l’arcivescovo Georg Gänswein rilasciata a “Il Messaggero” nell’ottobre 2013, in cui dice che Benedetto XVI fu “molto sorpreso” del voto di sfiducia e che mi teneva in “grande stima”. Dovrebbe anche sapere ciò che il Segretario di Stato mi disse personalmente da parte di Benedetto XVI il 7 Febbraio 2013: il Papa aveva deciso di riabilitare immediatamente la mia figura – una decisione che non fu mai messa in atto dopo le dimissioni di Benedetto XVI”. 

CONCLUSIONE E INDISCREZIONE

E conclude: “Vorrei anche che Sua Eminenza sapesse quanto mi manca Papa Benedetto…”. Forse adesso gli mancherà un po’ di meno. Chissà. E ai collaboratori più vicini, l’economista piacentino avrebbe confidato: “Potrei smentire le ultime confessioni con testimonianze e documenti”. A Formiche.net Gotti Tedeschi, seppure interpellato, non ha voluto dire alcunché.



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