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Cosa succede davvero in Iran. Parla Cherif Bassiouni

L’accordo per il nucleare raggiunto ​nel luglio 2015 ​dai P5+1 con l’Iran ha rappresentato un passo importante per le relazioni tra il Paese e l’occidente. Ma in realtà la società iraniana e gli interessi che si muovono nell’area sono complessi e nessun singolo accordo ha il potere di ridisegnare gli equilibri politici e sociali di una regione attraversata da pregressi storici non facilmente eliminabili. La rivoluzione del 1979 ​dell’Iran ​continua ad avere la sua influenza nella società moderna e la presenza occidentale, sia essa americana o russa, non viene percepita in modo positivo. Nella sua complessità, l’Iran si trova in una posizione privilegiata per andare oltre e costituire un punto focale di normalizzazione dei rapporti, ma ci sono alcuni aspetti non secondari che la società occidentale dovrebbe avere a mente affinché il dialogo tra culture, religioni e approcci politici sia strutturato in modo proficuo.

Di questo Formiche.net ha parlato con Cherif Bassiouni, considerato il padre del diritto criminale internazionale ed esperto di crimini di guerra. È stato consulente del Dipartimento di Stato Usa e fondatore dell’International Human Rights Law Insistute alla DePaul University a cui ha donato tutti i suoi paper, mettendoli a disposizione di ricercatori e studiosi.

Professore Bassiouni, quale può essere il ruolo dell’Iran nel processo di normalizzazione e stabilimento del dialogo tra medioriente e occidente?

La repubblica islamica dell’Iran ha molte possibilità di avere un ruolo particolare ​per i rapporti con i paesi dell’Europa e degli Stati Uniti, ma c’è da dire che la situazione in Iran è ancora da definire. Il Paese non ha ancora chiuso il contenzioso che ha con ​l’occidente dalla rivoluzione del ‘79. Tutti i rapporti che esistono tra questi soggetti sono di natura essenzialmente bilaterale e ad hoc, salvo quello sul nucleare che è multilaterale.
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Tutto ciò, a mio avviso, è dovuto a una reticenza da parte della Guardia nazionale, che è ancora animata dallo spirito rivoluzionario del ‘79, riconoscendosi un ruolo nel Medio Oriente visto con timore per la sua valenza imperiale che si manifesta nel sostegno dato al governo shiita in Iraq, agli Hezbollah in Libano e al regime di Bashar al-Assad in Siria, non dimenticando il pericolo che possono creare per i Paesi del Golfo. Sono convinto che questa non sia la politica del leader supremo Ali Khamenei, né di quelli che io chiamerei i riformisti. Le guardie della rivoluzione sono ancora nello spirito rivoluzionario del ‘79 e non in quello del 2016, che dovrebbe essere lo spirito di normalizzazione dei rapporti.

Questa situazione crea un circolo vizioso che ostacola normalizzazione e investimenti. Per andare oltre crede che ci debba essere maggior coraggio da parte dell’Occidente?

È una questione un po’ difficile perché ha due dimensioni. La prima è quello che io considero il conflitto politico interno tra Guardia nazionale, l’establishment religioso che ha gestito il paese nel ‘79, e quella parte della società che vuole evolvere e che definirei riformista (una definizione che neanche loro si darebbero, ma che penso sia importante venga riconosciuto anche qui). Nel momento in cui si parla di movimento riformista le guardie nazionali li considerano dei revisionisti rispetto alla rivoluzione del 1979. È una lotta interna poco nota nel mondo. Se l’occidente decide di agire e di riavvicinarsi, necessariamente si troverà in mezzo a questa situazione conflittuale e se si avvicina ai riformisti, le guardie rivoluzionarie avranno la scusa per confermare il carattere revisionista di questa componente della società, acquisendo così più forza. Per quello che riguarda il gruppo religioso, sotto la tutela del capo supremo Ali Khamenei, ​questo ​non è in grado di gestire il Paese di oggi. Il problema che si pone è sapere quale sarà il passo successivo. E qui si ​evidenzia un secondo problema importante. Sollevando le sanzioni a seguito dell’accordo nucleare, bisogna ​ora ​capire a chi andranno i soldi che ne derivano. Se una fetta va alla Guardia nazionale, è chiaro che verranno usati per rafforzare quello che una volta Eisenhower chiamò il military industrial establishment. Attraverso l’industria militare, le guardie hanno tutta una fetta dell’economia del Paese. Riversare i soldi lì creerebbe una sorta di stato dentro lo Stato, un’economia dentro l’economia. E naturalmente si tratterebbe di un’economia segreta: non si saprà quanti di questi soldi saranno usati per andare a fare delle avventure all’estero.

Il tutto a discapito della stabilità regionale?

Assolutamente sì. Per questo non sono dell’avviso che gli Stati Uniti si dichiarino, per il momento, interessati alla situazione interna dell’Iran. È meglio che restino fuori perché qualsiasi segno di interesse sarà interpretato come tentativo di revisione della rivoluzione, contrario alle Guardie. È meglio lasciare la società iraniana decidere del proprio futuro.

In questo modo non si rischia di lasci​a​re spazio alla Russia?

Non penso, perché con tutte le divisioni e distinzioni interne, l’Iran mantiene ​con ​la Russia lo stesso livello di cautela che ha verso gli Stati Uniti. Per l’Iran satana non sono solo gli Stati Uniti, ma anche la Russia.

Avendo identificato quindi il nemico (Usa e Russia), crede che un potenziale avvicinamento con l’Arabia Saudita resti comunque ancora poco probabile?
Non penso. Questa è un’idea molto diffusa in Europa. Io sono convinto del contrario. Per un motivo semplice. L’Arabia Saudita e i ​P​aesi del Golfo hanno capito che non si possono fidare degli Stati Uniti, e hanno ragione. L’ultimo anno di amministrazione Obama ha dimostrato che gli Usa non hanno una politica strategica per il Medio Oriente. Si tratta di una politica tattica basata su un interesse quasi personale del presidente Barack Obama per mantenere la sua legacy. In Siria, Paese che continua a essere usato da parte del regime, ci sono stati più di 165 attacchi e bombardamenti con armi chimiche, veri e propri reati di guerra e contro l’umanità che hanno provocato la morte di 400mila civili e 6 milioni di profughi; gli Stati Uniti devono ancora dire una parola per affermare l’esistenza di crimini contro l’umanità o crimini di guerra. Non riesco a capire come un Paese possa sentirsi leader morale dell’occidente senza poi aprire bocca quando i valori che professa vengono violati. È chiaro che tutti i Paesi arabi hanno capito che degli Usa non ci si può fidare. Ma questi Paesi hanno diffidenza anche verso la Russia, che resta sostanzialmente una società sovietica nonostante siano passati da un sistema comunista a uno capitalista con una parvenza di democrazia.

Questa situazione potrebbe costituire uno stimolo per cercare di raggiungere uno storico avvicinamento tra Paesi arabi, includendo questa volta anche l’Iran?/strong>

Si tratta di un tema teorico che ha una sua logica, ma in realtà è totalmente impossibile perché tra i 22 Paesi arabi vi è una diversità culturale ed economica enorme. La società marocchina è del tutto diversa dall’Iran. Gli iracheni del Kurdistan sono diversi dai sudanesi (africani ma considerato Paese arabo). Il livello di sviluppo sociale e umano è diverso. L’Egitto, Paese che conosco molto bene, 30 anni fa era leader; oggi, con una popolazione di 90 milioni di persone, sarà presto un Paese in via di fallimento. Per via dell’aumento demografico, della mancanza di sviluppo economico e sociale interno, dello sgretolamento dei valori sociali, della corruzione completamente fuori controllo, è più probabile che diventi come un Bangladesh che altro. Perciò, considerate le diversità, non è possibile prevedere, non dico un’unione, ma neanche un intendimento politico. Di conseguenza ciò non potrà essere oggetto di dialogo con gli iraniani che, ricordiamo hanno un​’​origine diversa dai popoli arabi che sono di discendenza semitica. Gli iraniani provengono da un impero persi​ano​ che è durato oltre mille anni, ed è difficile per la popolazione iraniana dimenticarlo.

Affrontando la questione dei diritti umani e considerando la difficile situazione interna dell’Iran, quale crede debba essere l’approccio della comunità internazionale?

La mia lettura della società iraniana è che più le si fa pressione, più si irrigidisce, compresi gli elementi estremisti. Credo che la società iraniana debba essere lasciata al suo sviluppo. Sono convinto che con le nuove generazioni ci sarà un cambiamento, come già si vede con i millennials. È inutile rafforzare i sospetti degli estremisti e dargli occasione di usare questa scusa per reprimere i movimenti sociali indigeni che verranno naturalmente.

Tornando alla questione del dialogo tra oriente e occidente, e considerando la minaccia del terrorismo in termini di raffreddamento e contrapposizione della società occidentale nei confronti del mondo musulmano, cosa ne pensa?

Tutto dipende dal punto di partenza. Se considero gli Stati Uniti, in cui il numero di persone uccise ogni anno con armi da fuoco è di 22mila, 19mila per omicidi stradali, mentre le morti per terrorismo, ad esempio nel 2015, è stato di circa 100 persone, mi chiedo come sia possibile che tutto ciò susciti una rivoluzione politica e crei un Donald Trump della situazione. Il tutto in una società che con 22mila morti ancora permette la difesa dell’uso e acquisto di armi a fuoco. Tutto ciò non ha senso. Credo che paragonato a qualsiasi tipo di criminalità, il terrorismo numericamente non costituisca un pericolo, neanche a livello mondiale.

Come si può far capire questo alla società?

Non lo so. Credo che siano i politici che strumentalizzano la cosa. È come con la mafia e la corruzione politica. Uno dei motivi per il quale credo che la mafia continui a esistere è perché le società in cui si sviluppa l’ha ormai accettata e la considera come onere sociale aggiuntivo. Se si paragona il danno che fa la mafia al danno del terrorismo, sia in termini di morti, feriti, danni economici e sociali, questo è di gran lunga maggiore. Eppure, il primo viene accettato mentre il secondo no. Allora bisogna capire: o i politici e i mass media sono inconsapevoli del pericolo che creano, oppure le società moderne sono fatte da persone che non sanno valutare autonomamente quali sono i veri pericoli.



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