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“La lotta con il Leviatano” fra liberali e conservatori in Europa

Di Gian Marco Sperelli
L'agenda guerra

“Tra la rivoluzione e la Chiesa non c’è via di mezzo. Tra i principi del 1789 e quelli del Vangelo, la confusione e l’ordine, la menzogna e la verità, la violazione dei trattati e il mantenimento della pace: tra tutto questo non c’è via di mezzo. Non ci si può barcamenare con la rivoluzione: si è o pro o contro.”( Gustav von Blome a Louis de Pons).

Gustav von Blome, il protagonista dell’epopea raccontata dallo storico belga Emiel Lamberts sullo sviluppo e gli esiti del conservatorismo in Europa dal 1915 fino al 1965, fu un “bel tipo d’europeo” secondo la definizione di Alcide De Gasperi. Nipote di Klemens von Metternich, von Blome(1829-1906) teorizzò il collegamento tra il conservatorismo e la Democrazia cristiana, nonché – in parte – i prodromi della fortunata eterogenesi dei fini del liberalismo con il cattolicesimo politico. La monografia segue la carriera diplomatica e politica di Blome, che si intreccia con la storia europea ottocentesca e in particolar modo con il crollo del potere temporale del papato sul finire del XIX secolo. E proprio qui si innesta lo scontro tra il conservatorismo europeo e il nascente strapotere dello Stato liberal-costituzionale moderno, simboleggiato e tenuto a battesimo dal Leviatano di Thomas Hobbes(1651).

Il volume di Lamberts segue le due principali strategie di difesa contro l’onnipotenza dello stato: quella liberale e quella sociale. Entrambe hanno avuto una importanza straordinaria sulla formazione politica europea. Se da un lato la strategia liberale si muoveva nella ricerca di uno statuto giuridico protettivo dei singoli cittadini, la strategia sociale invece cercava di rafforzare il tessuto sociale come contrappeso al potere dello Stato. I due filoni politici si sono intrecciati fino a ricongiungersi nel corso del Novecento, sancendo una svolta imprescindibile per il processo di integrazione europea. La grande questione che si cela in questo volume è il problema della modernità, che emerge in maniera preponderante con il crollo del potere temporale della Chiesa e con il consolidamento dello Stato liberal-parlamentare. Tre erano infatti i pilastri che muovevano la ricerca intellettuale e l’azione politica di von Blome:

1) la ricerca di un ordine politico conservatore in un’ Europa compressa e minacciata dai conflitti tra i singoli Stati-nazione alla fine dell’800; 2) la risoluzione dei nascenti contrasti sociali nei paesi europei con lo sviluppo di un’attenta e rigorosa dottrina sociale, per porre rimedio da un lato agli squilibri del capitalismo, e dall’altro per arginare e scongiurare una drammatica vittoria dell’ideologia social-comunista; 3) il riconoscimento dell’importanza del ruolo della Chiesa cattolica nel processo di cooperazione tra i popoli europei dopo la presa di Roma, che rappresentò un rischio concreto di veder persa per sempre la Santa Sede come ultimo baluardo dell’ordine politico europeo pre-rivoluzionario.

Tali preoccupazioni dottrinarie e politiche furono riassunte nella pubblicazione di Blome del 1871 “Dov’è il futuro dell’ Europa”(“Wo ist Europas Zukunft”). Per Blome infatti si aprì da questo momento una nuova fase della sua vita: da diplomatico e membro della “Herrenhaus”( camera alta del parlamento austriaco), ad esponente di spicco dell’ultramontanismo militante che guadagnava sempre più terreno sul cattolicesimo liberale. Venendo a contatto con le più alte sfere della politica ecclesiastica, in una Roma lacerata e umiliata dalla “Breccia di Porta Pia” del settembre 1870, ebbe l’opportunità di portare avanti un tentativo per la ricostituzione di un ordine politico cristiano in Europa. Blome si spinse più avanti rispetto al suo grande modello Metternich, che si era espresso contro ogni forma di cattolicesimo politico. Nella visione di Blome la Chiesa cattolica era una roccaforte a cui aggrapparsi per contrastare la “real-politik” bismarckiana, in difesa del vecchio sistema politico conservatore.

Alla “real-politik” si doveva rispondere propugnando il rispetto dei trattati internazionali e, in particolar modo, incentivando la difesa dei valori morali del cristianesimo. Soltanto quest’ultimi avrebbero esercitato sulla società europea un influsso positivo, favorendo una maggior coesione sociale tra i popoli. Nella nuova veste di intellettuale di punta del conservatorismo cattolico, Blome si spese a tempo pieno per l’organizzazione della cosiddetta “Internazionale Nera”: un’ organizzazione segreta volta a ricostituire il regno sociale di Cristo all’interno della comunità politica, dopo l’avvento della “questione romana” in Italia. L’Internazionale Nera dirigeva i suoi strali, in primo luogo, contro il liberalismo anticlericale considerato il nemico di allora, e soltanto in seconda battuta contro il socialismo, il nemico futuro. Non a caso proprio durante il Concilio Vaticano I venne promulgato il dogma dell’infallibilità papale, per sottolineare da un lato l’unità dottrinaria della Chiesa nella persona del pontefice, e dall’altro per ribadire la propria struttura monarchica, che in quel momento era messa in dubbio non soltanto dalle vittorie politico-istituzionali del liberalismo, ma persino da correnti ecclesiastiche interne legate al cattolicesimo liberale.

L’Internazionale Nera si muoveva in tal direzione, coordinando il laicato cattolico europeo e mobilitando l’opinione pubblica contro l’anticlericalismo liberale, che osteggiava fortemente l’influsso della Chiesa nella società. Il periodo di mobilitazione dell’ Internazionale Nera coincise con gli ultimi anni del pontificato di Pio IX (1870-1878). Furono senza dubbio anni di grandi stravolgimenti: la fine del vecchio ordine e l’inizio di un nuovo mondo. Quale fu il bilancio finale dell’ Internazionale Nera? Certamente non fu in grado- e Lamberts lo sottolinea- di creare un ordine politico di stampo cristiano, ma ebbe comunque il merito di favorire la mobilitazione delle masse popolari per salvaguardare in maniera più efficace l’autonomia e il ruolo internazionale della Santa Sede.

L’esperienza dell’Internazionale Nera fu tuttavia decisiva per dare il via ad un coinvolgimento, ancora più importante, delle élites cristiano-cattoliche: l’ Unione di Friburgo. Quest’ultima rappresentò un vero e proprio cambio di direzione nella lotta agli eccessi e alle disuguaglianze provocate dal liberalismo economico, proponendo allo stesso tempo una valida alternativa alla lotta di classe del social-marxismo. Il cattolicesimo sociale si andò a rafforzare in particolar modo in Italia, Francia e Austria, attorno a personaggi come Blome, Karl von Vogelsang e René de la Tour du Pin. Il primo a prendere l’iniziativa per la creazione dell’ Unione cattolica degli Studi sociali ed economici fu proprio il marchese René de la Tour du Pin, con il patrocinio del vescovo di Friburgo monsignor Mermillod. Se l’Internazionale Nera era stata una macchina da guerra impiegata contro il liberalismo politico, l’Unione di Friburgo si proponeva invece come una “avanguardia”- secondo il parere di De la Tour du Pin- capace di preparare una dottrina sociale cristiana contro il liberismo. Per un decennio questo centro-studi, guidato sapientemente da Blome, si occupò di tematiche sociali sempre più sentite e condivise da papa Leone XIII(1878-1903) : l’organizzazione del lavoro, il regime di proprietà e il mondo associativo.

I frutti del lavoro dell’Unione di Friburgo vennero raccolti con la pubblicazione dell’enciclica papale Rerum Novarum nel maggio 1891. Divenne indiscutibilmente la più importante enciclica dell’intera storia moderna della Chiesa. L’enciclica di Leone XIII si opponeva al liberalismo e in maggior misura al socialismo. Sempre secondo la visione del pontefice, la Chiesa doveva presentarsi come un bastione per la tutela dei diritti e soprattutto dei legami naturali sociali, infatti quest’ultimi venivano storicamente e ontologicamente prima dello Stato, limitandone di fatto il suo potere. L’enciclica infine affrontava in maniera diretta la questione della lotta di classe, virando a favore di una collaborazione tra industriali e lavoratori. Gli operai infatti avevano diritto ad un salario più equo, e a condizioni lavorative dignitose; inoltre potevano organizzarsi in corporazioni anche se non con un carattere misto (cioè di collaborazione non soltanto tra cattolici e protestanti), a differenza tuttavia di quanto auspicato dai membri dell’ Unione di Friburgo. Nella dottrina sociale, sviluppata nella Rerum Novarum, erano presenti i primi germi del principio giuridico della sussidiarietà, che fu menzionato esplicitamente quarant’anni dopo nell’enciclica Quadragesimo Anno(1931) di Pio XI. Lo stesso De Gasperi, non a caso, dedicò nell’interbellum un ampio studio ai predeccesori della Rerum Novarum, sottolineandone l’importanza anche per un ipotetico e futuro processo d’integrazione europea – portato avanti successivamente con i già citati Adenauer e Schuman.

E proprio qui si ritrova il filo conduttore e la grande attualità della monografia di Lamberts, ovvero il ricercare le radici storico-politiche della già menzionata eterogenesi dei fini del liberalismo con il conservatorismo cattolico. Da più fronti si parla costantemente di una risposta liberal-popolare alla crisi politica europea, che possa offrire un’alternativa seria e concreta alla retorica populista. Urge un’azione sociale per il popolo, ma che parta dal popolo stesso rendendolo protagonista. Il leader storico dei liberali Malagodi l’avrebbe chiamata “Massa critica”, con buona pace di Ortega Gasset, ma fino ad un certo punto. Infatti questo lavoro di sintesi critica spetta necessariamente ad una élite strutturata, che si faccia portavoce delle istanze reali dei popoli lavorando ad esse in profondità, rifiutando compromessi al ribasso o soluzioni superficiali.

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