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“L’Asia ai miei occhi” (Marsilio) di Stefania Tucci

Venticinque anni di viaggi in giro per l’Oriente. Il Vicino, il Medio, l’Estremo, fino a tutta l’Oceania.  Un lungo percorso di scoperta raccontato attraverso l’osservazione attenta delle bellezze turistiche, ma soprattutto la riflessione sulle caratteristiche sociali, economiche e politiche di una parte del globo in continuo mutamento. Interessata, proprio in questo arco di tempo, da un’accelerazione storico-economica che ha pochi eguali nella modernità.

A descrivere ne “L’Asia ai miei occhi” (Marsilio, 2016) questa trasformazione, sul campo e dal vivo, è Stefania Tucci, imprenditrice di origine napoletana che si divide tra Roma, Londra e l’Oriente appunto, una terra che ha cominciato a conoscere da giovanissima. In questo suo primo libro l’autrice riavvolge la pellicola di un quarto di secolo, e oltre, di viaggi in alcuni dei luoghi più affascinanti della terra, visti e rivisti a più riprese nel corso degli anni. A cominciare da quando, nel 1989, tutti in una volta visitò Bangkok, Bali e Singapore.

Per oltre 250 pagine l’occhio di Stefania Tucci indaga, curioso, l’umanità varia e assortita che incrocia: dall’imprenditore all’autista, dall’artista al bagnino e agli europei espatriati come in cerca di un nuovo Eldorado, altrettanti fili che s’intrecciano in una trama sapiente dove il lettore viene avviluppato finendo per rivivere sensazioni ed emozioni, anche forti, che gli si offrono e si chiede di condividere. Un esempio per tutti? Nella descrizione della vita ancora selvaggia di Papua Nuova Guinea, tra danze rituali e scontri tribali, umori e afrori, amori e violenza. Una descrizione  che risale appena a una manciata di anni addietro, ma sembra di secoli fa, nella quale però non c’è posto, beninteso, per orientalismi di maniera. Tant’è che, immediatamente dopo, seguono pagine affilate che l’autrice dedica alla involuzione dello stesso Paese, alle prese con una modernità cialtrona imposta sotto le mentite spoglie della modernizzazione e della civilizzazione, anche con la complicità di predicatori laici, e religiosi, del tutto inadeguati al loro compito.

Il diario di Stefania Tucci, più che cronologico, è geografico. Benevolmente “viziato”, come l’autrice ammette, da una sua “favorevole predisposizione d’animo riguardo al continente in generale e al Sud-Est in particolare”.

“Quello che stiamo vivendo è il secolo asiatico”, scrive l’autrice. E un libro così articolato e completo costituisce un ottimo  strumento per prenderne atto. Soprattutto analizzandone la complessità, come fa Stefania Tucci nel suo scritto ricco di considerazioni geopolitiche sicuramente “scorrette” ma sempre con il dono dell’originalità.

Non è facile tenere insieme afflati privati e giudizi socio-politici su un’area così magmatica. E ancora meno facile è cercare di pesare con sagacia le potenzialità ulteriori, le perplessità, i rischi di queste terre, senza tralasciare nessun aspetto, per aprire una finestra anche sull’Oriente futuro. A nostro parere l’autrice ha superato la prova.



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