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Le idee di Deaton, Fitoussi e Ravasi per un’economia più giusta

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La crisi dell’attuale paradigma economico e sociale, la forbice dei redditi che aumenta e fa crescere le disuguaglianze, la coesione sociale che si disgrega e il concetto di giustizia che si fa sempre più debole. Il senso di comunità che si dissolve assieme alla fiducia nelle istituzioni, in contesti caratterizzati da “insicurezza sociale, incertezza economiche e instabilità politica, ripiegamenti nazionalistici e posizioni di chiusura”. I temi messi inizialmente sul piatto sono tanti e di non facile soluzione: da qui l’intento di una “riflessione approfondita” volta a “stimolare e definire nuovi approcci economici ispirati a principi di maggiore equità e inclusione”.

Il contesto è quello delle iniziative del Cortile dei Gentili e l’occasione è l’evento dal titolo “Verso un’economia più umana e giusta”, che si è svolto ieri nel contesto di Palazzo Borromeo, a Roma, sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. In presenza di autorevoli esponenti del mondo politico e accademico, e introdotta dal Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che ha accennato alla differenza tra le parole ineguaglianza e diseguaglianza: “Un dato di fatto genetico il primo, bellissimo perché crea un mondo non grigio ma acceso. Un termine profondamente negativo il secondo, che indica la rottura dell’uguaglianza, dove la diversità viene fatta prevaricare e qualcuno domina gli altri”.

GENTILONI, GRASSO, POLETTI, E L’IDEA DI UN NUOVO ORDINE GLOBALE LIBERALE

Nel saluto iniziale, consegnato in una lettera dal ministro degli esteri Paolo Gentiloni, si parla dello sforzo necessario per “cogliere le interconnessioni tra le tante sfide del disordine nello scenario internazionale, sottolineato anche dal Pontefice nell’enciclica Laudato Sì”, secondo le parole del ministro “filo rosso che collega il magistero di Benedetto XVI a quello di Francesco”: è da questa enciclica che “ha preso le mosse un dibattito sulle sfide dell’economia di mercato e sulla persistente necessità di costruire un nuovo ordine globale liberale”, scrive Gentiloni.

Sfida che sembra rilanciata anche dallo stesso ministro del lavoro Giuliano Poletti, che all’inizio del suo intervento si chiede come, “visto che viviamo una condizione oggi di distanza tra ciò che auspichiamo e ciò che sentiamo di essere in grado di fare”, i fenomeni economici globali “richiederebbero un governo globale. Ma ne siamo vicini?” si chiede Poletti. “No, direi di no. Neanche in Europa riusciamo a governare. Ma non si può avere una buona politica sociale europea e pensare all’austerity allo stesso tempo”. Anche se, ha continuato Poletti, “abbiamo bisogno che lo Stato faccia un passo di lato, e lasci spazio alla società civile e alle comunità”, ricordando vagamente l’idea di Big Society Cameroniana (di cui si è parlato anche nella convention della settimana scorsa di Parisi).

In ogni caso, sostiene il presidente del Senato Pietro Grasso durante il suo intervento, “l’orizzonte non può che intravedersi nell’Ue”, anche se “ha affrontato il tema del lavoro e delle diseguaglianze in maniera miope, puntando solo su rigidità di bilancio e strutture decisionali tecniche. Mentre oggi si pone il bisogno di tornare a puntare sulle politiche economiche”.

SIR ANGUS DEATON E LE DISEGUAGLIANZE IN OTTICA GLOBALE

Il tema delle disuguaglianze resta tuttavia l’argomento in primo piano. Sir Angus Deaton, economista di primo piano insignito del Nobel nel 2015, che già nel suo ultimo libro ricorda come la popolazione mondiale non sia mai stata ricca come oggi, nel suo intervento sottolinea che allo stesso tempo “uno dei prodotti della globalizzazione è stato un impoverimento della classe media”, almeno nei paesi che fino a qualche anno fa erano considerati più ricchi. E sul piano politico “la conseguenza è la crescita di populismi e nazionalismi”, considerando però “paesi come la Cina o l’India, che dalla globalizzazione hanno tratto enorme profitto e hanno visto, a differenza per esempio dell’Europa, il reddito della classe media crescere”.

Nonostante ciò, dice Deaton, “il mondo è pieno di guerre e migrazioni, per cui i miglioramenti sono graduali. La globalizzazione ha molti punti deboli, così come il capitalismo globale: c’è ingiustizia e sofferenza, ci sono forti disuguaglianze reddituali, e il campione dell’aumento delle disuguaglianze sono gli Stati Uniti”. Considerate quindi nel loro insieme, “le disuguaglianze stanno diminuendo, il mondo sta diventando meno diseguale”, ma paradossalmente “all’interno di ogni paese si è sempre più diseguali”. La seconda ingiustizia poi, per Deaton, è data “dalle persone ricche che cercano di orientare il mercato verso i propri interessi: un tipo di capitalismo che è un cancro che ci minaccia tutti”. Tuttavia, conclude il premio Nobel, “l’uguaglianza non deve essere applicata con una ridistribuzione forzata attraverso la tassazione, ma con una democrazia che funzioni meglio”.

JEAN PAUL FITOUSSI E LE POLITICHE ECONOMICHE EUROPEE

Le tesi di Jean Paul Fitoussi, economista francese anch’egli presente all’evento, su politiche monetarie e di bilancio sono già note, e parlando di Europa non si smentisce: “Le politiche di austerità hanno avuto un effetto terribile sulla società europea” dice Fitoussi, “ed è grave anche quello che accade con l’immigrazione, rigettate perché si ha l’impressione di non poter integrare, e che sottraggano possibilità lavorative. Quando la società si impoverisce economicamente si crea una chiusura”. Tuttavia anche Fitoussi è concorde nel dire che “l’ineguaglianza è un motore del progresso, perché consente alla gente di elevarsi sulla scala sociale, ma la diseguaglianza implica una rottura della società”. E al momento c’è una forte “dinamica di aumento della diseguaglianza interna in Europa, sempre più inaccettabile perché viene dai salari”. Colpa di “un movimento che per ricercare la competitività costringe ad abbassate salari e costo del lavoro”.

Il problema però “non è l’euro, piuttosto la costruzione europea squilibrata: abbiamo un federalismo monetario e un confederalismo fiscale, e nel lungo periodo non è sostenibile”. Fitoussi ricorda come prima dell’arrivo di Draghi avversò a lungo la Bce, “perché non è democratica, non c’è accountabilty nei confronti di una parlamento che non ha i poteri di modificare il suo statuto”. Ma dopo Draghi “ho visto che era almeno federale, che nei suoi geni ha gli interessi generali dell’Europa e perciò deve farli. Oggi li fa bene, ma è il fatto che non c’è unione a livello fiscale a generare il grande malessere: le popolazioni hanno impressione di avere diritto di cambiate governo ma non politica, e per questo motivo diventano estremiste”.

VAN DER MENSBRUGGHE, L’ECOLOGIA, LA LAUDATO SÌ E UNA TASSA SULLE EMISSIONI

“Leggendo l’enciclica Laudato sì, ho fatto una riflessione” dice l’economista docente negli Stati Uniti Dominique Y van der Mensbrugghe: “Le statistiche dicono che non c’è mai stata una grande crescita quanto negli ultimi 200 anni, e questo grazie a una economia basata sull’energia”. Ma c’è il rovescio della medaglia: “Abbiamo immesso grandi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera, e questo porterà in futuro a sovvertire e convertire l’attuale sistema di produzione energetica”. Anche se sono stati presi alcuni impegni dagli Stati, nell’ambito dell’agenda Onu sul clima, questi “non sono sufficienti. Il Papa nella enciclica dice che i paesi più ricchi potrebbero pagare: penso che l’unico modo è fare pagare un prezzo aggiuntivo per le emissioni di anidride carbonica, una tassa. Questo denaro servirebbe a convertire i nostri sistemi energetici in sistemi puliti”.

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