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Ma quello che rischia di più è Luigi Di Maio

Sarà stato mentre scorreva l’impietosa diretta streaming dalla commissione ecomafie della Camera o mentre leggeva le notifiche delle menzioni che fluivano come un fiume sui social che Luigi Di Maio avrà maledetto ogni singola parola spesa in favore di Virginia Raggi, dalla campagna elettorale fino a poche ore prima quando aveva addossato le responsabilità delle critiche alla sindaca di Roma alle lobby, compresa quella delle Olimpiadi.

Nei prossimi giorni, c’è da giurarci, sarà difficile ascoltare difese del genere dai pentastellati: troppo disinvolta nell’allontanare ogni sospetto d’inchiesta sulla sua assessora Paola Muraro, troppo incauta nel dire di aver avvisato il direttorio nazionale dell’indagine, troppe patate bollenti da gestire in una città che ha già segnato la carriera di tanti sindaci predecessori.

Ovviamente la strada più semplice sarebbe quella di addossare le colpe sull’assessora all’ambiente e magari inventarsi una mossa a sorpresa, come potrebbe essere un’apertura sulle Olimpiadi, per levarsi le troppe attenzioni di dosso. Ma non basterà la nomina di altri due o tre magistrati in giunta per limare l’imperizia e il dilettantismo che Virginia Raggi ha dimostrato dalle ultime vicende.
La “trappola Roma”, come ormai viene definita negli ambienti grillini, resterà sempre attiva.

E il candidato premier in pectore Di Maio, quello che in questi mesi ha sfoggiato un aplomb istituzionale impeccabile e una capacità di evitare i guai degni dei sensi di ragno, lo sa bene.
Il suo destino al governo è legato a come sarà governata la più importante istituzione ad oggi guidata da un pentastellato.
E dato che dai primi 80 giorni di amministrazione è chiara la direzione che sta prendendo la Raggi, difficilmente il leader napoletano vorrà seguire le orme di una trappola annunciata.

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