Il giorno dopo l’esito disastroso per la Cdu delle elezioni a Berlino, Angela Merkel si è presentata in conferenza stampa per fare autocritica. “Se fosse possibile, tornerei indietro nel tempo e tanti errori fatti ultimamente non li ripeterei”, ha detto ieri ai giornalisti presenti al Konrad Adenauer Haus, sede della Cdu. “E visto che sono il capo della Cdu me ne assumo la responsabilità”. Merkel si è anche scusata per aver indetto la conferenza stampa solo ora e non già due settimane fa, dopo la débâcle nelle regionali del Mecklenburg-Vorpommern, dove la Cdu è finita addirittura dietro all’AfD: “Avrei voluto dire già qualcosa allora, ma mi trovavo in Cina al G-20 e non era quello il luogo giusto”.
Si è scusata per non essere riuscita a quanto pare fino a oggi a spiegare in modo chiaro a tutti i cittadini tedeschi la sua linea politica. Soprattutto quella frase “ce la possiamo fare” che ormai la perseguita a tal punto che a volte vorrebbe “non averla mai pronunciata”. Perché dal momento stesso in cui l’ha detta è stata travisata, da molti usata come più tornava utile. E così Merkel ha provato a mettere in chiaro che “non voleva essere un affronto verso nessuno, anche se so che ha irritato parecchi”. L’intento di quel “ce la possiamo fare” era esattamente l’opposto: “Era un modo di dare atto, di riconoscere la straordinaria solidarietà della quale sono capaci i tedeschi nei confronti di chi ha bisogno”.
Poi ha affrontato le paure che sempre più serpeggiano tra la popolazione. Se la solidarietà deve far parte del Dna tedesco ed europeo, questo non vuol dire che la Germania possa accogliere un numero indiscriminato di persone, e il governo dall’autunno scorso a oggi ha preso molti provvedimenti (in materia di diritto d’asilo, di respingimenti, di integrazione) per contenere i flussi. “Ciò nonostante so che i problemi ci sono tutt’ora, che non siamo campioni dell’integrazione, che ci sono ancora troppe palestre adibite a dormitori, che i corsi di lingua non sono disponibili per tutti”.
Ritardi e intoppi che sono a loro volta frutto di un errore all’origine: “So bene che io, il governo, abbiamo reagito troppo lentamente alla crisi migratoria. Ci siamo troppo basati sugli accordi di Dublino”. Accordi che alla luce dei fatti devono essere evidentemente modificati. Primo perché non è immaginabile che “tutto il peso resti in capo alla Grecia e all’Italia”. Secondo perché il flusso non si esaurirà domani, ma è destinato a durare a lungo. Ha ricordato poi l’accordo Ue-Turchia sui profughi: “Lo so che a parecchi non piace, ma intanto gli arrivi sono considerevolmente diminuiti, perlomeno lungo la rotta balcanica”. Ora però c’è il fronte italiano, africano. E quasi a voler rispondere ai malumori manifestati dal premier Matteo Renzi a conclusione del vertice informale tenutosi venerdì scorso a Bratislava, Merkel ha sottolineato che “a noi non basta debellare la piaga degli scafisti, dello sfruttamento dei profughi o migranti che siano. Bisogna debellare le cause della migrazione”. Perché soprattutto le persone che arrivano dal continente africano il più delle volte fuggono dalla miseria. E visto che da qui a vent’anni questo continente avrà la popolazione più giovane, bisogna trovare risposte che permettano lo sviluppo e un futuro in loco.
Fatte tutte queste ammissioni, e nonostante i pessimi risultati elettorali, Merkel ha nuovamente ribadito che non intende cambiare corso politico. A chi le chiedeva cosa le impedisse di fissare un tetto massimo lei ha risposto: “I numeri sono statici, le persone no. E non voglio promettere cose che non posso mantenere”. Ha invece garantito una gestione ancora più efficiente, controlli ancora più puntuali per garantire la sicurezza interna “perché sappiamo che non tutti coloro che arrivano qui e chiedono asilo, lo fanno con buone intenzioni”.
E anche i sondaggi secondo i quali l’82 per cento degli intervistati vorrebbe che cambiasse corso, non la inducono a cambiare direzione. Anche perché si tratta di valore numerico indifferenziato che non dice quali cose nello specifico dovrebbero essere cambiate. “Se quell’82 per cento invece vuol dire che le persone interpellate rifiutano gli stranieri tout court allora non posso che rispondere: ciò contrasta con la nostra Costituzione così come con la mia etica”. Certo, la Germania cambierà, come è nella logica del tempo e della cose “ma sono assolutamente convinta che usciremo da questo periodo più solidi di quando ci siamo entrati. E sono convinta che i valori su cui si fonda la nostra società non verranno intaccati”.
Merkel ieri ha ammesso errori, ma soprattutto ha cercato di spiegarsi e spiegare qual è la sua linea. Se si vuole, si è coperta il capo di cenere, ma al tempo stesso ha ribadito che continuerà a combattere per difendere il suo corso politico, continuerà a combattere affinché i 27 Stati europei trovino entro il prossimo marzo, quando si festeggeranno i 60 anni dalla sottoscrizione dei Trattati di Roma, una linea comune e condivisa sulla politica dei profughi e non solo. E a sentirla e a vederla sembrava veramente che la domanda se si ricandiderà alle prossime politiche in programma nell’autunno del 2017, fosse l’ultimo dei suoi pensieri. Così ovviamente non è, Merkel è una donna di potere, ma anche di (forse) pochi ma in compenso molto saldi principi.