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Vi racconto la relazione del prof. Raniero La Valle sul referendum costituzionale

Ho meditato la lucidissima relazione tenuta dal prof. Raniero la Valle a Messina, il 16 settembre scorso, a un dibattito sul referendum, con la quale ha esposto in maniera rigorosa le ragioni vere che stanno alla base della scelta operata dal governo Renzi di modifica della Costituzione del ’48.

Tale relazione credo rappresenti la più completa analisi delle motivazioni interne e internazionali che hanno sollecitato i governi occidentali a porre in essere i tentativi di superamento delle costituzioni rigide del dopoguerra.

La Valle, che fu il riferimento politico e culturale per molti di noi, giovani di Azione Cattolica, negli anni ’60 del Concilio, quando dirigeva il quotidiano dei vescovi L’Avvenire, con Piero Pratesi, suo vice, ha ricordato in maniera esplicita i condizionamenti specifici della Jp Morgan, con il documento del 2013, in nome del capitalismo vincente, con cui indicava “quattro difetti delle Costituzioni (da lei ritenute socialiste) adottate in Europa nel dopoguerra: una debolezza degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello Stato; la tutela costituzionale del diritto del lavoro; la libertà di protestare contro le scelte non gradite del potere.

E, ha continuato La Valle: “Prima ancora c’era stato il programma avanzato dalla Commissione Trilaterale, formata da esponenti di Stati Uniti, Europa e Giappone, e fondata da Rockefeller, che aveva chiesto un’attenuazione della democrazia ai fini di quella che era allora la lotta al comunismo. E la stessa cosa vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano – il Financial Times e il Wall Street Journal – i quali dicono che il No al referendum sarebbe una catastrofe come la Brexit inglese. E alla fine è intervenuto lo stesso ambasciatore americano che a nome di tutto il cocuzzaro ha detto che se in Italia vince il No, gli investimenti se ne vanno”.

Ha concluso La Valle: “Ebbene quelle richieste avanzate da questi centri di potere sono state accolte e incorporate nella riforma sottoposta ora al voto del popolo italiano. Infatti con la riforma voluta da Renzi il Parlamento è stato drasticamente indebolito per dare più poteri all’esecutivo”.

Condivido l’intera analisi formulata dal professore, che individua lo spartiacque nel mutamento strategico tattico operato dal governo italiano, a misura del nuovo ordine mondiale che si andava costruendo, nella relazione tenuta il 26 novembre 1991 alla Commissione difesa della Camera, di cui La Valle era componente, dal ministro della difesa Virginio Rognoni, sul nuovo modello di difesa.

Se questo è ciò che avvenne sul piano delle strategie politico-militari del nostro Paese, credo che la relazione del prof. La Valle, andrebbe integrata con l’altrettanto lucida analisi che ci fece nel 2013 il prof. Zamagni in un convegno di studio della Dc, nel gennaio 2013, all’abbazia di Sant’Anselmo a Roma.

Secondo Zamagni, prima del fenomeno della globalizzazione era affermato e condiviso il principio della divisione del lavoro sulla base del cosiddetto principio Noma (Non Overlapping Magisteria) (Richard Whately) che, nel 1829, teorizzò la netta separazione e non sovrapposizione tra etica, politica ed economia. Di qui derivò il concetto dominante che assegna alla politica il compito dei fini e all’economia quello dei mezzi per il raggiungimento di quei fini, entrambe separate dall’etica secondo una visione iper-machiavellica. Tutto questo funzionò sino all’avvento della globalizzazione. Fenomeno quest’ultimo che non sorse spontaneamente dal mercato, ma fu determinato più o meno consapevolmente al G6 del 1975 a Rambouillet (Italia presente come quinta economia mondiale dell’epoca) nel quale si decise, con atto politico, di far partire il processo di globalizzazione, da non confondere con quello di internazionalizzazione, presente sin dall’epoca antica. Con l’avvento della globalizzazione il principio del Noma viene di fatto applicato in termini rovesciati: all’economia è assegnato il compito di decidere i fini e alla politica quello di scegliere i mezzi .

Da questo rovesciamento che assegna il primato finalistico all’economia, deriva la stessa scelta di Bill Clinton, pressato dalle sette sorelle (Jp Morgan,Morgan Stanly e C.), detentrici del potere finanziario, di superare la legge Glass Steagall del 1933 che seppe garantire equilibrio e sviluppo al mercato americano. Il superamento dell’obbligo di separazione tra attività di speculazione finanziaria e attività bancarie tradizionali, deciso dal congresso americano, e promulgata il 12 novembre 1999 da Bill Clinton, diede il via libera ai fenomeni di speculazione finanziaria del mercato dei derivati e dei futures che saranno alla base della grave crisi finanziaria in cui tuttora ci dibattiamo dal 2007.

Solo agli inizi del 2013 negli Usa fu introdotta la nuova norma Volcker – dal nome dell’ex presidente della Federal reserve – con cui venne ripristinata la separazione tra attività bancarie e di speculazione finanziaria I pragmatici americani hanno saputo rimediare ai guasti clintoniani. In Europa si continua, invece, nelle attività speculative.

Intanto, però, il danno era fatto con la vicenda dei futures e degli edge funds che hanno finito con l’insozzare l’intero sistema bancario mondiale, sino a raggiungere un volume di debito complessivo di oltre 10 volte il valore dell’ìntero pil mondiale.

Ora, come denuncia La Valle con estremo realismo, proponendo la stessa tesi che il prof. Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corto costituzionale, espone nel suo ultimo saggio “Gli inganni della finanza”, sono gli stessi responsabili del superamento del Noma del 1999 e dei fatti e nefasti successivi che inducono “i governi amici” a darsi da fare per consegnare le mani libere al mercato che è mondiale al quale stanno troppo strette le regole, i lacci e i lacciuoli di ciò che rimane alle democrazie occidentali costruite a misura delle costituzioni post belliche. In questo mercato devono valere solo le leggi del mercato e non importano le conseguenze sul piano economico e sociale, né, tantomeno, quelle sul piano di diritti politici e civili.

Si comincia dai Paesi più in difficoltà, meglio se con “governi amici” più disponibili, meglio ancora se questi sono costruiti su basi di dubbia legittimità con l’aiutino di capi dello Stato consenzienti e/o conniventi, non badando a spese per il controllo monopolistico dei mezzi di comunicazione con l’obiettivo di puntare al governo di “un uomo solo al comando”.

Se gli italiani abboccheranno sarà la fine della democrazia e la vittoria dei padroni del turbo capitalismo finanziario, con piena soddisfazione di quel “cerasello d’annata”, renziano senza limiti, indegno erede del nostro Giulianone che fu.



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