Mentre la querelle politico-fiscale tra Apple, l’Irlanda e la Commissione Ue non accenna a diminuire di tono, con scambi verbali accesi tra i protagonisti, la vera notizia riguarda la decisione annunciata da Cook di riportare negli Stati Uniti almeno parte del tesoro di liquidità parcheggiato all’estero. Il colosso di Cupertino ha infatti accumulato circa 215 miliardi di dollari in contanti e altri investimenti liquidi fuori dagli Usa e fino ad ora è stato riluttante nel riportarli a casa, preferendo aspettare una riforma fiscale che avrebbe reso meno costosa la mossa. Su quel denaro verrebbe imposta attualmente un’aliquota del 35 per cento. In una intervista radiofonica all’irlandese Rte, Cook questa volta non ha citato un cambiamento del codice tributario come condizione per rimpatriare gli utili generati dalle sue attività internazionali. Non ha però nemmeno fornito una cifra precisa di quanto intente riportare in patria.
“Abbiamo accantonato vari miliardi di dollari da pagare in Usa con il rimpatrio, e attualmente stimo che il rimpatrio stesso si verificherà il prossimo anno”, ha detto Cook. Quegli accantonamenti sono ora a quota 30 miliardi di dollari; sulla metà degli utili generati all’estero, Apple ogni anno mette da parte denaro per coprire il costo del rimpatrio. Nel 2014 l’aliquota effettiva sui profitti mondiali per Apple è stata del 26,1 per cento (inclusi gli accantonamenti non versati), un livello che Cook ha definito “ragionevole”.
Netta, invece, la posizione di Cook riguardo alle accuse mosse dalle Ue all’accordo fiscale tra Apple e l’Irlanda. La stangata Ue che ha colpito Apple, a cui è stato chiesto di versare imposte arretrate per la cifra record di 13 miliardi di euro, è “totalmente una stronzata politica” ingiusta, “deludente”, “esasperante”, ha dichiarato Cook, che continua a sostenere che non c’è niente di illegale nell’accordo fiscale siglato con l’Irlanda. Il successore di Steve Jobs ha ribadito che Apple e Dublino “hanno rispettato le regole” e si è detto convinto che vincerà in ricorso. “Siamo soggetti a un’aliquota in Irlanda del 12,5 per cento, abbiamo pagato in tasse 400 milioni di dollari nel 2014. Crediamo di essere il maggiore contribuente” nella nazione, ha aggiunto dichiarando anche che l’aliquota allo 0,005 per cento che Apple è accusato dalla Commissione di avere pagato “è un numero falso. Non ho idea da dove venga quel numero”. Il giudizio della Commissione Europea non dovrebbe comunque modificare i programmi di investimento di Apple in Irlanda. “Siamo del tutto impegnati nei confronti dell’Irlanda. Non abbiamo intenzione di lasciare che un giudizio non valido e di estrazione politica penalizzi il nostro impegno verso l’Irlanda”, ha proseguito Cook, anticipando il pagamento dell’esborso richiesto in un conto garantito ma negando ancora una volta tutte le responsabilità addebitate.
Il governo irlandese ha tenuto mercoledì una riunione straordinaria per discutere del giudizio emesso dalla Ue sui presunti aiuti di Stato, ma i suoi membri non sono riusciti a trovare un accordo sui passi da intraprendere nonostante l’invito del ministro delle Finanze Michael Noonan a preferire la strada del ricorso. Oggi è previsto un incontro di gabinetto per prendere una decisione. Dopo un lungo periodo di austerità, molti politici ed elettori vedono nei 13 miliardi di euro da recuperare una manna dal cielo e diversi parlamentari hanno invitato il governo ad accettare il giudizio. Inoltre il partito di governo Fine Gael ritiene che un fallimento nella procedura di ricorso possa mettere a rischio gli investimenti futuri da parte di aziende statunitensi e quindi l’intera politica nazionale di attrazione di imprese estere. Del resto lo stesso Cook ha fatto presente i danni prodotti sull’attrattività dell’Irlanda per gli investimenti esteri nel caso in cui il governo di Dublino accetti passivamente l’ordine di Bruxelles. “Gli investimenti aziendali dipendono in realtà da un livelli di certezza. Le persone ha bisogno di sapere quali leggi sono in vigore”, ha sottolineato Cook.
Ma proprio la politica fiscale irlandese di grande favore per le aziende statunitensi sembra ormai essere dichiaratamente nel mirino della Commissione Ue, e in particolare dell’Antitrust, che non a caso ha inquadrato il caso negli aiuti illeciti di Stato. La decisione della Commissione europea sugli aiuti di Stato concessi a Apple “non rientra in alcuna figura politica, ma rientra in quello che prevedono i trattati” dell’Ue. Lo ha detto il commissario europeo per la Concorrenza, Margrethe Vestager, in conferenza stampa a Bruxelles. I trattati conferiscono alla Commissione europea competenza esclusiva in materia di legislazione su concorrenza e aiuti di Stato, e l’obbligo di far rispettare le regole Ue, ha ricordato Vestager. Nel caso di richiami, e nella prospettiva che questi vengano discussi davanti agli organismi di giustizia, “la Corte deve esprimersi sui fatti, e i fatti è quello che dobbiamo produrre”. Quanto deciso due giorni fa, il recupero da parte del governo irlandese di 13 miliardi di euro di aiuti di Stato contrari alle norme Ue, “è stata presa sulla base dei fatti. L’inchiesta è confindenziale, e auspico che entrambe le parti siano cooperative, perché ritengo sia nell’interesse di tutti”, ha concluso il Commissario.
(Pubblicato su Mf, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)