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Cosa prevede lo Student Act del governo Renzi

E dopo il JOBS ACT arriva lo STUDENT ACT per rispondere anche alla brutta pagella che OCSE ci assegna contenuta nel Rapporto Education at a glance 2016. Sussurri e grida sotto forma di prime anticipazioni sulla legge di bilancio 2017 affermano che il Governo rinnoverà il bonus cultura da 500 euro per i 18enni, e introdurrà nuove risorse per il diritto allo studio, con un’ipotesi di no tax area per studenti universitari. Il regalino per i giovani che hanno compiuto 18 anni nel 2016 si ripeterà da spendere in cultura (cinema, concerti, musei, libri, eventi, monumenti, teatri, parchi naturali e aree archeologiche) con accesso attraverso una identità digitale SPID denominata 18app.

Le altre misure dello Student Act pare siano: 50 milioni in più per il Fondo integrativo statale per il diritto allo studio, che farebbe salire le risorse totali a 220 milioni. E sempre per incentivare le iscrizioni all’università, si pensa a una no tax area (studi universitari gratuiti), per famiglie con ISEE fra 12mila e 15mila euro. Poi borse di studio più ricche da 10-15mila euro (le attuali, arrivano al massimo a 4mila euro) da assegnare agli studenti più meritevoli, sempre appartenenti alle famiglie a basso reddito, selezionati attraverso una valutazione che tiene conto del voto di maturità, e il rendimento nel corso di tutti gli anni di studi superiori. Si sta valutando l’opportunità di finanziamenti aggiuntivi per i dipartimenti universitari migliori in base alle pagelle di valutazione dell’Anvur, agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Questa misura si affiancherebbe alle risorse, previste dalla finanziarie 2016, denominata “ rientro dei cervelli”, su cui si attende però il decreto ministeriale attuativo. Queste ipotesi di pacchetto giovani in Legge di Stabilità 2017 sono rese note in concomitanza delle recenti cifre dell‘OCSE (Education at a glance 2016) secondo cui l’Italia ha il poco edificante primato del boom di Neet (giovani che non studiano e non lavorano): sono aumentati del 10% dal 2005 al 2015, in misura superiore alla media degli altri paesi OCSE. Non solo: il corpo docenti della scuola italiana è il più anziano, in termini anagrafici, dell’area OCSE, con 6 o 7 insegnanti su dieci sopra i 50 anni, e ha una delle percentuali più basse di presenza maschile (8 insegnanti su dieci sono donne). La spesa pubblica nell’educazione dal 2008 al 2013, gli anni della crisi, è scesa del 14% (contro il -2% delle altre spese), portando la percentuale di spesa per l’istruzione (primaria, secondaria e terziaria) nel 2013 al 4% del pil, contro il 5,2% dell’area OCSE: peggio di noi, solo Spagna, Ungheria e Slovenia.

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