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Sul caso M5S dopo il caos a Roma

Quanto sta accadendo a Roma è indescrivibile: cadute di stile, omissioni, dimissioni in massa, provini per scegliere gli assessori, email fraintese o non lette bene, doppia o tripla morale quando si tratta degli avvisi di garanzia degli altri. Eccolo qua il M5S alla prova del governo di una grande città. E non una qualsiasi, si tratta della capitale d’Italia.

Bene. Quanto sta accadendo è sotto lo sguardo di tutti. Non siamo mica stupidi. E non lo sono nemmen i romani. Sanno perfettamente cosa sta accadendo. Eppure, il M5S non sta sprofondando né sprofonderà. Dopotutto, come hanno dimostrato alcuni sondaggi recenti, malgrado una evidente delusione, anche da parte di chi ha votato il M5S, quasi nessuno sostiene che Virginia Raggi dovrebbe dimettersi né che il M5S ha fallito. Il paragone è sempre con chi c’è stato prima. Giusto, sbagliato? Poco conta, la retorica è questa: gli altri hanno fatto peggio e continuano a far peggio, altrove.  C’è quindi una seria riflessione da fare sul perché, malgrado tutto questo, la gente continua a sostenere loro e a non gli altri. Nello specifico la domanda che mi pongo, e che vi pongo è, perché il PD non riesce a convincere? Allora, arrivo ad alcune ipotesi o spiegazioni, dal mio personale punto di vista.

Prima di tutto, si tratta di una situazione specifica: Roma. Che come è noto non è la città più semplice d’amministrare. Tanto che chi c’è stato prima, almeno negli ultimi dieci o quindici anni non ha fatto un granché bene. Si tratta forse di un’attenuante per chi c’è ora? Assolutamente no, ma nell’immaginario collettivo diciamo che questo conta. Non c’è da stupirsi, dopotutto il PD ha defenestrato il proprio sindaco, eletto a grande maggioranza e che stava facendo bene. Questo resta nella memoria di molti. E infatti l’esito di queste amministrative ha parlato chiaro.

Poi, abbiamo a che fare con la comunicazione in generale. Sono settimane, anzi mesi, che assistiamo a una sorta di grillizzazione del PD. Mi dispiace doverlo scrivere, ma questo modo di fare come si può pensare che possa portare a un chissà quale risultato positivo? C’è da restare allibiti dall’aggressività, dalla pochezza di certe argomentazioni e dallo scimmiottamento dei metodi dell’avversario che tanto si denigra. La distanza che dovrebbe dimostrare il PD sta, secondo me, tanto nelle forme quanto nei contenuti. Nel caso specifico, mancano le prime e pure i secondi.

Non credo, infatti, che le reazioni scomposte di alcuni esponenti del PD possano in alcun modo giovare alla causa. Anzi, le uscite come quelle di  oggi di Vincenzo De Luca non fanno altro che rendere ulteriormente antipatici certi soggetti, quelli che pontificano con fare arrogante e presuntuoso, che usano battute di dubbio gusto, offese velate, sessismo striscinte e che poi arrivano anche a dire “che vi possano ammazzare“. Ecco, c’è un limite che non andrebbe affatto superato. E questa è una responsabilità di tutte e di tutti. Ma nello specifico di chi si erge, o vorrebbe, a esempio, modello e soggetto “al di sopra di” (non si sa bene cosa).

Ho la vaga sensazione che manchi una vera strategia. Manca l’essenza stessa di un’alternativa politica prima di tutto, nella sostanza. Manca l’alternativa anche nel modo di proporsi e comunicare: slogan, tweet, frasi ad effetto, video autocelebrativi, e chi più ne ha più ne metta. Questo modo di fare è perdente. Si tratta di una sconfitta annunciata nascosta però dietro recentissimi sondaggi che ci dicono che il M5S perde consenso proprio per questa vicenda.

E allora vorrei arrivare all’analisi dei dati. L’Unità pubblica questo articolo con un sondaggio Swg che vorrei inviatare a leggere attentamente. A confronto ci sono le elezioni europee del 2014, le intenzioni di voto al 1 settembre 2016 e al 9 settembre 2016 (subito dopo la famosa questione dell’E-Mail non capita da Di Maio).

Ebbene non c’è molto da festeggiare: 1) un sondaggio di questo tipo è assai poco significativo, per tante ragioni, tra tutte il fatto che proprio a caldo, la vicenda “pilota” il risultato. Quando la questione sarà passata in secondo piano, ossia tra meno di una settimana, i risultati varieranno di nuovo (vedremo!); 2) a vedere il paragone con il 2014, il M5S guadagna comunque punti percentuali (+4,5), mentre PD, NCD e Forza Italia hanno perso parecchio consenso. Anche la Lega Nord è aumentata sensibilmente rispetto al 2014; 3) il calo che c’è invece tra l’1 e il 9 settembre, anche se reputo sia un dato poco significativo può essere intepretato in tanti modi: che una piccola parte di elettorato non del M5S (ex Sinistra, ex centro destra ecc…) che alle amministrative lo ha votato si è (temporaneamente) sfilata, il PD a fronte di una perdita improvvisa di un 4,5% circa di consenso del M5S ne recupera meno dell’1% quindi non c’è nessun vero “premio” semmai un raffreddamento nei confronti del M5S che però, temo, si riassesterà velocemente.

In questo scenario è l’astensione che vince ancora. Sì, perché quelli che sono realmente delusi dal M5S non voteranno né PD né altri partiti “tradizionali” al momento. Scivolano nell’astensione. Perché sono sfiduciati, arrabbiati o disgustati. E allora si arriva alla conclusione: non basta rincorrere un avversario e sopratutto non si dovrebbe arrivare a usare le sue stesse logiche e/o modalità di azione nell’assurda idea che questo possa “strappargli” voti. Non è questione di chi grida di più, o di chi sfotte di più; ma di credibilità, di serietà e di proposta alternativa valida agli occhi delle persone.



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