Una polemica la chiude, o la mette tra parentesi. E un’altra ne apre, o riapre. Che siano manovre, o incidenti di percorso, Donald Trump fa sempre notizia: ammette che il presidente Barack Obama è nato negli Stati Uniti, ma rigetta l’origine della controversia sulla sua rivale Hillary Clinton; e torna a evocare la possibilità di un attentato contro la candidata democratica (“Non vuole le armi? Togliamole alla sua scorta e vediamo quel che succede”).
NASCITA D’UN PRESIDENTE (E D’UNA POLEMICA)
“Il presidente Obama è nato negli Usa, punto”: lo dice, per la prima volta in modo esplicito, Donald Trump, inaugurando a Washington un suo nuovo hotel. Negli ultimi giorni, il candidato repubblicano era stato ambiguo sul tema, nonostante la sua campagna continuasse a non mettere in discussione che Obama è nato negli Usa. In passato, Trump era stato parte del movimento dei “birthers” che contestavano che Obama fosse nato negli Stati Uniti e potesse, quindi, essere presidente.
Mettendo apparentemente fine alla controversia, Trump ha però accusato la sua rivale democratica d’averla iniziata: ”Hillary Clinton nella campagna del 2008 aprì la controversia. Io v’ho posto fine”, ha detto il magnate, che in passato s’era vantato di avere costretto Obama a presentare il certificato di nascita.
Trump e altri hanno a lungo accusato la Clinton di essere la fonte delle illazioni sul luogo di nascita di Obama, sfruttando la divulgazione di un memo del 2007 di un consigliere dell’ex first lady che sottolineava la ”carenza di radici americane” dell’attuale presidente. Ma non c’è alcun documento della Clinton o della sua campagna che tentino di alimentare pubblicamente speculazioni sul luogo di nascita di Obama.
L’inaugurazione dell’hotel di Washington e il dietrofront sul luogo di nascita di Obama sono stati segnati dall’ennesimo screzio tra la stampa e il magnate. Per evitare di rispondere alle domande, Trump ha impedito ai giornalisti di seguirlo nella visita all’albergo, ammettendo al suo seguito solo video-camere. E il pool di televisioni che abitualmente lo seguono ha deciso, con un voto, di non trasmettere le immagini.
LE ARMI E LE CAMERE A GAS
L’allusione alla possibilità che Hillary sia oggetto di un attentato è stata fatta a Miami e riecheggia una provocazione analoga, persino più esplicita, alcune settimane fa. Trump dà per acquisito che la sua rivale voglia cancellare il II emendamento della Costituzione, quello che garantisce il diritto di possedere armi, mentre Hillary vuole solo rafforzare i controlli sull’acquisto e il porto delle armi.
Difficoltà nel misurare le parole mostra anche Donald Trump Jr: a una radio di Filadelfia, il figlio del candidato ha detto che i media avrebbero ”scaldato la camera a gas”, se il partito repubblicano avesse agito come quello democratico nelle primarie – un’allusione al fatto che l’establishment era pro Clinton nei confronti del suo rivale Bernie Sanders – . Contestato dalle organizzazioni ebraiche, per quello che sembrava un riferimento all’Olocausto, Donald jr ha poi chiarito che lui si riferiva alla camera a gas della pena di morte e non a quelle dei campi di sterminio.
CANDIDATI MINORI FUORI DAI DIBATTITI
Brutte notizie per i due maggiori fra i candidati “minori” alla Casa Bianca, il libertario Gary Johnson e la verde Jill Stein: Sanders invita i suoi sostenitori, attratti soprattutto dalla Stein, a non votare per loro perché in tal modo potrebbero negare a Hillary l’appoggio che le serve per sconfiggere Trump.
E la commissione per i dibattiti presidenziali li ha definitivamente esclusi dal primo dibattito presidenziale in diretta televisiva, il 26 settembre, perché non hanno i numeri per stare sul palco insieme alla Clinton e a Trump. Le regole prevedono che un candidato raggiunga almeno il 15 per cento nella media dei sondaggi per partecipare ai dibattiti: Johnson è intorno all’8 per cento, la Stein al 4 per cento.