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Tutte le preoccupazioni di Angela Merkel dopo il voto a Berlino

C’è chi ha parlato di una “contesa tra pesi medi”, chi – più velenoso – di una disputa “tra perdenti”. E in effetti, anche le elezioni per il Senato di Berlino che si sono tenute ieri, hanno dimostrato una volta in più che i partiti di massa di un tempo, cioè quello dei socialdemocratici e quello dei cristianodemocratici, si stanno sfarinando nei consensi. Il partito di Angela Merkel è sceso addirittura sotto il 20 per cento. I socialdemocratici hanno ottenuto il 21,6 per cento dei voti, confermandosi di nuovo primo partito nella capitale e raggiungendo al tempo stesso un altro primato: è la prima volta in assoluto nella storia della Repubblica Federale Tedesca che un partito vinca con così pochi voti. Sarà anche per questo che il leader dell’Spd Sigmar Gabriel subito dopo le prime proiezioni ha provato a rassicurare: “Berlino resta umana e sociale, e questa è una bella notizia” e, consapevole che c’era veramente poco da essere soddisfatti, si è affrettato ad aggiungere: “E la seconda buona notizia è che il 90 per cento degli elettori non ha votato l’AfD”. Una percentuale che con lo spoglio dei voti è stata corretta al ribasso. Ma comunque sia, se c’è una cosa che i politici di qualsiasi schieramento o nazionalità sanno fare con una certa disinvoltura è girare e interpretare i risultati elettorali in modo tale che anche la più cocente delle sconfitte, risulti una mezza vittoria.

Un gioco dal quale si è fatto tentare, seppur con maggior circospezione, anche qualche cristianodemocratico. Perché è chiaro che ieri l’interesse di tutti era rivolto al risultato elettorale che i nazionalpopulisti dell’Alternative für Deutschland (AfD) della leader Frauke Petry (nella foto) avrebbero conseguito nella capitale e dunque quanto di nuovo avrebbe perso il partito guidato da Angela Merkel. Era abbastanza sicuro che non sarebbero riusciti a bissare l’exploit di due settimane fa nel Mecklenburg-Vorpommern. Lì l’AfD con il 20,8 per cento dei voti è diventato il secondo partito superando anche la Cdu (19 per cento). Ciò nonostante ieri più di un cristianodemocratico avrà acceso un cero dopo la messa della domenica e pregato affinché almeno nella capitale le perdite fossero contenute e si restasse la seconda forza politica con uno scarto significativo rispetto all’Afd. Preghiere ascoltate solo in in parte. La Cdu ha ottenuto il 17,6 per cento dei voti, l’AfD il 14,2 per cento.

Michael Müller, il sindaco socialdemocratico uscente (e ora riconfermato) aveva già dichiarato in campagna elettorale che, in caso di vittoria dell’Spd, avrebbe fatto una coalizione con i Verdi e se necessario per ottenere la maggioranza anche una a tre, facendovi entrare la Linke. Insomma, niente più grande coalizione. E una coalizione a tre sarà, con la Linke che ha ottenuto il 15,6 per cento dei voti, più forte dei Verdi che ne hanno ottenuti 15,2 per cento.

Ma come già nelle passate elezioni regionali, la domanda che interessa tutti è che ripercussioni avrà questo ennesima sconfitta per la Cdu e (soprattutto) per Angela Merkel. I cristianosociali bavaresi torneranno ovviamente a fare la voce grossa, così come la più conservatrice dei cristianodemocratici. Ma le ripercussioni negative sulla Kanzlerin sono solo una parte dello scontento e del quadro che anche queste elezioni di Berlino mettono in luce. I cosiddetti grandi partiti sono sempre più pesi medi. Più che di vittorie, ultimamente si deve parlare per Spd e Cdu di perdite contenute.

Quella dell’emorragia di elettori per gli ex partiti di massa che perdono a favore del partito nazionalpopulista AfD è un dato di fatto. L’altro fatto lo fotografa invece un rilevamenti dell’istituto dimap-infratest: secondo il quale il 50 per cento degli intervistati si dice più o meno soddisfatto della politica di Merkel, il 43 per cento sostiene che la Kanzlerin è il motivo per il quale si vota la Cdu e infine, anche se il 69 per cento pensa che la politica dell’accoglienza abbia nuociuto al partito, il 57 per cento trova giusto che Merkel resti sulle sue posizioni mentre solo il 39 per cento è dell’avviso che dovrebbe ascoltare di più i fratelli minori bavaresi della Csu.

Pensare dunque di trarre da questi risultati regionali e amministrativi una qualche indicazione per le elezioni politiche dell’autunno 2017 non possibile. Se non questa: la grande coalizione anche a livello federale non è più auspicabile. E non è un caso che anche a livello nazionale da tempo nei corridoi alti si mormora che Merkel non sarebbe del tutto contraria a sperimentare una liaison con i Verdi. Sempre che i voti lo permettano, ovviamente.



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