Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera da James Hogan, Ceo Etihad Aviation Group e vice presidente di Alitalia, si evince chiaramente lo stupore e la delusione per il mancato rispetto delle precondizioni concordate con i sindacati alla base dell’accordo di circa 18 mesi fa, che erano la base per l’acquisizione del 49 per cento della compagnia italiana a quel tempo di fatto fallita, quindi del suo salvataggio. Prosegue citando gli impegni presi a suo tempo anche dal governo italiano, soprattutto in tema di promozione turismo, e al momento ancora disattesi. Un inciso, con le regioni che si occupano singolarmente della loro promozione turistica all’estero, non si va da nessuna parte: solo una gran perdita di tempo e di denaro. Ma questa è un’altra faccenda, roba da votare Sì al referendum di dicembre solo per cambiare “sta stupidità”…
Tornando all’intervista, giova brevemente ricordare che dall’ingresso di Etihad, la di fatto fallita Alitalia ha ridotto le proprie perdite da €1milioni/giorno a €0,5milioni/giorno e il business plan prevede ulteriori investimenti nel futuro prossimo per ca. €1miliardo, con l’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2017.
Ma la questione di fondo è quella che l’azienda a fronte delle previste perdite per l’esercizio in corso, dovrà essere ricapitalizzata. La compagnia emiratina, socia al 49 per cento non potrà aumentare la sua partecipazione – pena l’esclusione di Alitalia dai benefici europei – e gli altri soci, tra i quali Poste Italiane, dovranno pertanto sottoscrivere o cedere ad altri investitori europei.
Ma che succede se a fronte del tafazzismo italico – ahimè – persistendo le condizioni e l’ambiente operativo descritto da James Hogan nell’intervista, Etihad dovesse decidere di abbandonare il progetto? E’ una compagnia che ha una mentalità e ragiona in termini di mercato: o funziona o si chiude. Potrebbe farlo, sarebbe una delusione, ma non un problema per i facoltosi azionisti di Abu Dhabi.
O, per dirla in altro modo, chi poi pagherebbe per gli errori commessi, la mancanza di visione e le abitudini sbagliate della “azienda” Italia? Facile la risposta.
Vien da chiedersi, quando continuamente si auspicano investimenti privati e capitali stranieri nel Bel Paese, ma di cosa stiamo parlando? Purtroppo, ancora del paese di Tafazzi, dove continuiamo a dare le perle ai porci pur sapendo che le calpesteranno.