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Parliamo dell’assicurazione obbligatoria contro le catastrofi naturali?

Di Vittorio Veronesi
sisma terremotati, Frazione San Lorenzo

Il dibattito sull’assicurazione contro le catastrofi si accende dopo ogni evento sismico. Berlusconi provò con l’assicurazione volontaria nel 2005 e nel 2007, Monti rinunciò all’idea di quella obbligatoria nel 2012 e Renzi, dopo aver abolito Imu e Tasi sulla prima casa, non ha voluto introdurre nulla che potesse essere percepito come una nuova tassa. La verità, però, è che in Italia ancora mancano cultura assicurativa e seri interventi di prevenzione. Soprattutto, è ancora carente l’adozione di strategie che garantiscano la continuità del business per le aziende. Aspetto troppo spesso sottovalutato, visto che quasi la metà di quelle che si fermano per più di 3 mesi dopo una catastrofe, poi falliscono entro due anni.

SCENARIO DI GUERRA, MA NESSUNA PREVENZIONE
In un paese come il nostro, con 30 milioni di famiglie proprietarie di casa, il 65 per cento degli immobili è a rischio geologico e 24 milioni di persone vivono in zone a rischio sismico. Eppure solo l’1 per cento delle abitazioni è assicurato contro i danni provocati dalle catastrofi naturali.
Lo Stato ha sempre gestito il rischio ex post, con interventi a coprire i danni anziché a prevenirli, con costi che, come ha calcolato Mediobanca Securities, per i 7 principali eventi sismici degli ultimi 44 anni (dal 1968 al 2012) superano i 121 miliardi: in pratica, 3 miliardi all’anno. Soldi che, però, sono usati solo per curare le ferite. Per prevenire la malattia, invece, e mettere in sicurezza tutte le costruzioni, considerando che il 60 per cento degli immobili è stato costruito prima che entrasse in vigore la normativa antisismica del 1974, servirebbero 360 miliardi di euro.

LE PROPOSTE CONCRETE
Eppure, qualcosa si può fare. Cineas propone l’adozione di un sistema misto pubblico-privato che preveda come primo intervento l’ampliamento delle garanzie delle polizze incendio già attive alle calamità naturali. In un solo anno si passerebbe dall’1 al 40 per cento degli italiani assicurati. Anche per Ania, l’adozione di un sistema misto garantirebbe maggiore certezza, rapidità e trasparenza nei risarcimenti. Qualcuno sostiene che l’assicurazione, specie se obbligatoria, assomiglia ad una tassa. Ma le compagnie, senza obbligatorietà, non offrono coperture in tutte le zone d’Italia e laddove c’è mercato, in zone ad alto rischio sismico, le tariffe potrebbero essere molto salate. Con l’obbligatorietà e un sistema pubblico-privato (e con lo Stato nel ruolo di riassicuratore), sarebbe possibile assicurarsi da Bolzano a Palermo, in zone a basso e alto rischio, e i costi sarebbero più contenuti. Inoltre, lo Stato potrebbe incentivare l’acquisto delle polizze con le detrazioni fiscali. Gli indennizzi sarebbero certi e i tempi di liquidazione più celeri rispetto a un intervento statale: in questo modo dovrebbero ridursi i tempi di permanenza nelle tendopoli o nelle strutture prefabbricate. Delrio propone di rivedere e semplificare l’ecobonus al 65 per cento che dal 2012 offre sconti fiscali per chi fa interventi di ristrutturazione anti sismica, ma questo ha un regolamento troppo difficile e sembra di poco appeal per i condomini, dove serve il consenso all’unanimità.

GLI ESEMPI ESTERI
I paesi in cui la polizza è obbligatoria sono la Nuova Zelanda, dove si registrano in media oltre 15 mila scosse all’anno, e la Turchia.
In Spagna, fin dall’epoca della guerra civile, esiste l’obbligo della copertura per i danni provocati dalle calamità naturali, mentre lo Stato interviene qualora si verifichino rischi straordinari. E’ il Consorcio de Compensacion de Seguros, un ente statale, che assume direttamente le garanzie relative al rischio straordinario e ha piena capacità di operare. La Francia ha adottato un sistema ibrido: tutti i privati hanno l’obbligo di assicurare gli immobili dagli incendi con polizze che includono una clausola che copre anche i danni da calamità naturali. Il Governo, che per la clausola definisce un premio unico per tutti gli assicurati, ha inoltre istituito una società di riassicurazione pubblica per sollecitare le compagnie a garantire i rischi da catastrofe naturale, offrendo loro la possibilità di riassicurarsi contro il rischio stesso ad un tasso fisso di cessione pari al 50 per cento.

CONTINUITA’ DEL BUSINESS
Se la copertura assicurativa è un utile strumento di tutela per il privato, ancor più dovrebbe esserlo per le imprese. In questo caso, però, l’obiettivo da perseguire, prima che la protezione, deve essere la prevenzione.
Qualsiasi azienda può rimanere coinvolta in un evento accidentale che può comprometterne la capacità operativa. Purtroppo, il 40 per cento delle imprese italiane che dopo un sinistro rimane inattiva per più di 3 mesi fallisce entro 2 anni dalla ripresa dell’attività, non riuscendo a compensare il dissesto finanziario.
Focalizzandosi sulla prevenzione è possibile, però, anticipare e pianificare tutte le azioni necessarie per fronteggiare un evento, dal terremoto all’alluvione, e gestire l’imprevisto. Per garantire l’operatività delle imprese di qualsiasi dimensione e settore è fondamentale assicurare ininterrottamente la disponibilità di tutte le risorse chiave, con un processo chiamato Business Continuity Plan che comprende risorse e specifica organizzazione, nonché lo sviluppo di strategie che possano garantire il valore aziendale.

RIPARTIRE PRIMA DI RICOSTRUIRE
A seguito di un incidente, la compromessa capacità operativa provoca perdite non solo di mercato, ma anche di immagine e di conseguenza di clienti, con danni di enorme portata. Occorre inoltre tenere presente che il danno indiretto è mediamente superiore di 2,5 volte al danno diretto. Un sistema di continuità operativa (in gergo: business continuity) significa garantire una capacità di reazione immediata e agire in modo corretto e coordinato, senza spreco di tempo, risorse e denaro. Significa dimostrare competenza e affidabilità, migliorando anche la propria immagine nei confronti di clienti, stakeholder e fornitori, con ricadute positive anche dal punto di vista dell’accesso al credito.


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