Giornata contraddittoria, la domenica appena trascorsa negli Stati Uniti, per la campagna elettorale di Usa 2016: se il candidato repubblicano Donald Trump viene contraddetto, sul palco dei comizi, dal maggior leader del suo partito, lo speaker della Camera Paul Ryan, e dal suo vice Mike Pence, sulle accuse di voto truccato e sull’ingerenza degli hacker russi, ma ricava indicazioni incoraggianti dal sondaggio di Wp/Abc, secondo cui l’impatto degli scandali sessuali degli ultimi dieci giorni sarebbe scarso sui potenziali elettori. Il rilevamento ha, però, un margine d’errore molto alto.
Quasi il 70 per cento degli intervistati crede che Trump abbia realmente fatto avances sessuali eccessive e una maggioranza ritiene che le sue scuse per video e audio sessisti non siano sincere. Malgrado ciò, nelle intenzioni di voto a livello nazionale, la candidata democratica Hillary Clinton è avanti appena di quattro punti: 47 per cento a 43 per cento in una gara a quattro. Un’analisi dei dati a livello statale indica, però, che, in questa situazione, Hillary otterrebbe una larga maggioranza a livello di Collegio elettorale.
RYAN NON CREDE AI BROGLI (E PENCE CREDE CHE GLI HACKERS SIANO RUSSI)
Le ripetute asserzioni fatte da Trump su un complotto della stampa contro di lui e sul rischio le elezioni siano truccate innescano un commento critico del portavoce dello speaker della Camera: “La nostra democrazia è basata sulla fiducia nei risultati delle elezioni e Paul Ryan confida che gli Stati condurranno il voto con integrità”.
Il numero due del ticket repubblicano Pence ha dal canto suo assicurato che lui e Trump rispetteranno ”la volontà del popolo americano” espressa l’8 Novembre e ha chiosato le affermazioni del magnate sul voto truccato, che sarebbero frutto della frustrazione per gli ”evidenti pregiudizi nei media nazionali”.
Ma di lì a poco Trump è stato di nuovo esplicito: ”Le elezioni sono assolutamente truccate da media disonesti e falsi che sostengono la corrotta Hillary, ma sono anche alterate in molti seggi elettorali”.
Pence ha pure contraddetto Trump sull’eventuale ruolo di hacker russi nel carpire e diffondere corrispondenza elettronica della campagna democratica: Mosca – ha detto Pence – dovrà affrontare ”severe conseguenze” se ha compromesso la sicurezza della corrispondenza elettronica negli Usa.
UN DONATORE NON SI TIRA INDIETRO
Incurante della valanga di accuse di molestie contro Trump, Peter Thiel, co-fondatore di PayPal e magnate dell’informatica, gli verserà, secondo fonti a lui vicine citate dalla stampa americana, 1,25 milioni di dollari.
Thiel, uno dei pochi miliardari Usa apertamente gay, è praticamente l’unico “trumpiano” di rilievo nella comunità high-tech della Silicon Valley. Nell’elenco molto ristretto dei grandi donatori pro Trump, ci sono pure Robert Mercer (hedge fund Renaissance Technologies), che con la sorella Rebekah ha dato 15,5 milioni di dollari, e Geoffrey Palmer, un immobiliarista di Los Angeles, che ha dato 2 milioni di dollari.