Visto che è difficile contenerla – e anche evitare che aumenti – allora che si tratti, almeno, di una spesa pubblica di qualità. Non è un caso, in tal senso, che l’ultimo libro di Giuseppe Pennisi scritto a quattro mani con Stefano Maiolo – edito dal Centro Studi ImpresaLavoro – si intitoli proprio “La buona spesa. Dalle opere pubbliche alla spending review. Guida operativa“.
(LE FOTO DELL’EVENTO DI PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI GIUSEPPE PENNISI “LA BUONA SPESA”)
Nel corso del dibattito organizzato per la presentazione romana del volume – moderata dall’ambasciatore Alberto Schepisi – un appello-messaggio in questa direzione è arrivato dall’ex ministro delle Attività produttive, ed ex presidente del Cnel, Antonio Marzano. “E’ dai tempi di Ricardo“, ha spiegato “che gli economisti si pongono il problema di come limitare la spesa pubblica“. Risultati apprezzabili, finora, non ce ne sono stati – ha argomentato Marzano – e, per questo, è necessario che gli sforzi siano almeno tesi a far sì che “la spesa sia buona“. Un obiettivo, però, molto difficile da raggiungere considerato che le forze politiche tendono, per loro natura, a spendere le risorse a disposizione “per ottenere consenso a breve termine. Ma, in questo modo, si perde di vista l’orizzonte lungo come hanno affermato economisti del calibro di Luigi Einaudi e Antonio De Viti De Marco“.
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Spendere bene vuol dire, innanzitutto, prediligere gli investimenti anziché la spesa corrente. “Non basta, però, perché gli investimenti non sono buoni a prescindere“, ha commentato un’altra economista – Maria Teresa Salvemini Ristuccia – con un passato da capo di gabinetto al ministero del Tesoro con Beniamino Andreatta prima e Luigi Spaventa dopo: “Da direttore generale di Cassa Depositi e Prestiti ho assistito al fenomeno delle cattedrali nel deserto e delle opere pubbliche iniziate e mai finite. Si investiva denaro, ma certo non si può ritenere che per il Paese siano stato degli investimenti veri e propri“.
(LE FOTO DELL’EVENTO DI PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI GIUSEPPE PENNISI “LA BUONA SPESA”)
La spesa pubblica sale, mentre alcuni fondamentali indicatori economici continuano a descrivere una situazione di grave difficoltà. A tal proposito il presidente del Centro Studi Impresa Lavoro Massimo Blasoni ha citato l’ammontare della pressione fiscale rispetto al Pil: “In Italia siamo al 42,8%. In Germania, invece, al 39,4, in Inghilterra al 34,3 e in Spagna al 34“. Di esempi, però, ne potrebbero essere fatti numerosi. Un altro è il ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione: “Da noi occorrono in media 131 giorni. In Inghiltera 30 e in Germania addirittura 15“. E, ancora, gli investimenti in digitale a proposito dei quali “l’Italia è venticinquesima sui ventotto Paesi dell’Unione Europea“.
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Che, poi, la crisi non è tutta imputabile all’Italia. Anzi, il contrario. Ne è convinto il professore di Storia dell’economia e dell’impresa della Luiss Guido Carli Giuseppe Di Taranto che – nel suo intervento – ha sottolineato le storture della costruzione economica europea e i danni che ne sono derivati per il nostro Paese: “La Germania è stata davvero più brava di noi?“. Domanda alla quale ha risposto negativamente evidenziando come le regole dell’euro siano state previste ad uso e consumo dell’economia tedesca, con grave danno per quasi tutti gli altri: “Tra il 2010 e il 2013 ha guadagnato quasi 40 miliardi dalla crisi dello spread e non solo“. L’esempio ulteriore fatto in tal senso da Di Taranto riguarda le privatizzazioni in corso in Grecia, di cui si starebbe avvantaggiando soprattutto la Germania: “Hanno comprato tutti e quattordici gli aeroporti greci. Ditemi voi…“. La morale non è, però, uscire dall’euro, anche perché – per com’è strutturato – “non sarebbe neanche possibile: è una gabbia“. L’obiettivo è un altro: modificarne in profondità le regole di funzionamento per evitare che siano”favorevoli a pochissimi e penalizzanti per tutti gli altri“.