La vicenda Unesco vs. Israele ha assunto ormai contorni surreali ed è divenuto un fantastico caso di studio.
Gerusalemme è patrimonio dell’umanità Unesco dal 1981, su proposta della Giordania. Il sito è stato iscritto, quindi, col suo nome arabo dal 1981. Dal 1982 il sito è inserito tra i beni in pericolo per i noti conflitti tra Giordania, Palestina e Israele. Da allora viene chiesto agli Stati di mandare rapporti annuali sullo stato di conservazione.
Da 35 anni il comitato esecutivo dell’Unesco “condanna” Israele a rispettare gli accordi internazionali per la salvaguardia del sito, utilizzando il nome arabo (a titolo di esempio cfr. la quasi identica risoluzione dello scorso anno). Dal 2011 Israele ha abbandonato formalmente l’Unesco e i diversi tavoli negoziali, dopo il riconoscimento come Stato Parte della Palestina.
Tutto questo è dai più (giustamente) ignorato ma ecco che la risoluzione dell’altro giorno – ordinaria amministrazione all’Unesco – viene “venduta” come una decisione che cancella la storia ebraica e spoglia Israele del proprio territorio. Questa è una bufala. Ma la notizia viene tradotta in diverse lingue e rilanciata sulla stampa mondiale.
In Italia la polemica sale alle stelle per l’astensione italiana (l’Italia su questo genere di non-decisioni si è sempre astenuta da 35 anni a questa parte). L’opinione pubblica, nel frattempo, si convince che la notizia falsa sia in realtà vera e condanna le scelte dell’Unesco come fossero reali.
Perfino il Capo del Governo italiano interviene, giustamente, a favore di Israele, convinto della fondatezza del pericolo. È un caso davvero interessante di come la comunicazione di un episodio descritto in modo distorto possa determinare le scelte individuali, collettive, perfino istituzionali. Un’azione di lobby perfettamente riuscita che ha, quanto meno, evidenziato come sia fondamentale puntare sui fori internazionali come l’Unesco.
(Ps. Forse in pochi sanno che l’Italia, nel 2012, ha deciso di chiudere l’ambasciata presso l’Unesco e di fonderla con l’ambasciata presso l’Ocse, abbandonando, anche fisicamente, la sede dell’Unesco. Ripensare questa stupida decisione di allora servirebbe per avere una qualche voce in capitolo)
(Pps. A Roma non esiste una delegazione Unesco e in questi giorni le manifestazioni sono state svolte sotto gli uffici della Commissione nazionale italiana per l’Unesco, un organo interministeriale a rilevanza interna che si occupa di scegliere le candidature dei siti e delle tradizioni da inviare all’Unesco. Che senso ha protestare sotto questi uffici? Avrebbe più senso, caso mai, andare sotto l’ambasciata Giordania (se proprio si deve) che da 35 anni scrive la stessa risoluzione o sotto l’ambasciata di Israele per chiedere che torni a sedere presso l’Unesco così da poter bilanciare il peso arabo).