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Cosa succede ad Aleppo dopo la rottura tra Usa e Russia

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La rottura delle consultazioni diplomatiche fra Stati Uniti e Russia è una notizia triste, però non è una notizia, almeno nel senso in cui questo è sinonimo di novità. È l’ennesimo episodio di quella che si potrebbe definire “Guerra Fredda bis” se non fosse che viene combattuta con tutti i mezzi, tranne quelli direttamente militari. Una situazione un tantino surreale ma purtroppo, da molto tempo ormai, senza alternative. Né l’America né, soprattutto, la Russia hanno interesse a uno scontro più diretto. Sia la Russia, sia soprattutto l’America non si possono permettere, in questo momento, compromessi che sarebbero la via più ragionevole.

Putin ha investito molto nelle “azioni” siriane per confermare e consolidare la sua credibilità di reggitore autorevole e autoritario di una ex Superportenza decaduta e umiliata che vuole essere adesso riconosciuta di nuovo come Grande Potenza. Barack Obama è sulla soglia della pensione e degli addii, complicati e resi più sgraditi dalla veemenza delle ultime settimane di campagna elettorale per la sua successione e cerca di difendere le sue posizioni storiche ma, nello stesso tempo, agevolare un passaggio dei poteri che più probabilmente avverrà nel suo campo democratico.

Egli deve o vuole piacere ancora agli americani senza dispiacere troppo, nella politica estera, alla sua compagna di partito come Hillary Clinton che la pensa in materia in modo molto diverso da lui ma che egli aveva nominato e si era tenuto per quattro anni Segretario di Stato, sostituendola poi con John Kerry, fautore di una strategia ben diversa, fondata sulla ricerca tenace e a tratti affannosa del compromesso e della pace.

Anche e soprattutto in Siria, ed è laggiù che egli ha dovuto finir per “arrenders” e mettere la sua firma su una rottura anziché su un compromesso. Sull’ennesima rinuncia, dunque, a risolvere un conflitto che dura da cinque anni e che, negli ultimi mesi, si è raggrumato attorno a una città, Aleppo, anzi a un suo quartiere. Rimasto in mano ai ribelli, assediato dall’esercito di Assad e regolarmente percosso dalla sua aviazione e da quella russa sua alleata.

Come in tutte le città assediate e bombardate, vi muoiono ogni giorno dei civili, inclusi i bambini, sul cui tormento si appoggiano coloro che disperatamente cercano un armistizio o una pace. Il compito è difficile per gli assedianti, disperatamente complicato per gli assediati, notoriamente divisi fra loro in fazioni opposte, prevalenti fra le quali i jihadisti della vecchia ditta di Osama Bin Laden. Difendendo i bambini, i civili, i tanti innocenti e i combattenti delle milizie «democratiche» ma dunque anche, contemporaneamente, i jihadisti e i terroristi. Una scelta coerente non più possibile per nessuno, anche per colpa della geografia.

Se i governativi riusciranno a rioccupare tutta Aleppo, avranno ristabilito una continuità geografica della parte occidentale ed essenziale della Siria e potranno anche accedere a un compromesso su quelle basi, che suggeriscono la possibilità di uno smembramento dello Stato, lasciando ai curdi una loro area e respingendo Isis e Al Qaida nel deserto. La Siria verrebbe in tal modo ad assomigliare alla Libia, consolidando così un esempio detestato da tutte le Potenze e anche dagli altri Paesi arabi, con un corrispondente rafforzamento dell’Iran, detestato come sciita dai sunniti e temuto da altre componenti dell’area, inclusa Israele. La partita è dunque complessa, nutrita da rivalità statuali, politiche, religiose, economiche. C’entra, naturalmente, anche il petrolio, pur dimezzato di prezzo ma non ancora di valore strategico.

Questi alcuni fra i motivi che spingono all’intransigenza una parte dell’America che conta molto, incluso il probabile futuro inquilino della Casa Bianca, la regina dei falchi Hillary Clinton. Il suo avversario Donald Trump predica una via opposta ma i poteri forti gli sono anche per questo avversi. Quanto alla Russia, il fattore strategico è più circoscritto ma non trascurabile. In Siria e nella Siria ancora in mano ad Assad, si trova l’unica base navale russa del Mediterraneo, particolarmente preziosa da quando il tradizionale predominio sul Mar Nero è insidiato dal ben diverso orientamento dell’Ucraina. Continuano ad aprirsi crepe in quello che per qualche anno poté sembrare il marmo sopra la tomba della Guerra Fredda.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)


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