Doveva essere – ed è stato – il dibattito fra i vice, ma né è venuto fuori un dibattito aggiuntivo tra Hillary Clinton e Donald Trump per interposta persona. Perché Tim Kaine e Mike Pence non si sono confrontati l’un l’altro, ma hanno costantemente messo avanti, difeso o attaccato, le posizioni dei loro boss.
Sul palco della Longwood University di Farmville in Virginia, con lo stesso allestimento già usato per il primo dibattito presidenziale il 26 settembre alla Hofstra University nello Stato di New York, la moderatrice è stata Elaine Quijano giornalista di origine filippine della Cbs News, la più giovane a gestire un dibattito nazionale degli ultimi 28 anni.
Pence e Kaine si sono presentati a cravatte invertite, blu il repubblicano, rossa il democratico, entrambi con completi scuri, camicia chiara, spilletta sul bavero sinistro: Pence con i capelli bianchi ancora folti e in ordine; Kaine con i capelli grigi più radi e meno controllati. Il democratico giocava in casa perché è stato sindaco di Richmond, governatore della Virginia ed è ora senatore dello Stato.
Per i due vice, era l’occasione per farsi conoscere perché il 40 per cento degli americani manco sa chi sono, non ne ricorda i nomi. I telespettatori hanno scoperto due ligi numeri due, non due leader, anche perché Kaine e Pence si sono costantemente “annullati” dietro l’immagine del loro boss. Soltanto verso la fine, alle domanda sulla loro fede, e a tratti a quella sull’aborto, i due hanno entrambi risposto con accenti personali e convinti: Kaine è cattolico, è stato missionario in Honduras e ha raccontato la sua difficoltà a gestire la pena di morte da governatore, Pence è un cattolico “convertito” evangelico, per entrambi la religione è importante.
Più aggressivo Kaine, più controllato Pence, i due non si sono scontrati sul piano personale, proprio perché entrambi non rappresentavano se stessi, ma il rispettivo candidato presidente, e non si sono quasi mai attaccati l’un l’altro, ma hanno sempre attaccato l’altro candidato presidente. I ruoli, però, sono stati quasi invertiti, rispetto al primo dibattito presidenziale: Pence era la “forza tranquilla”, Kaine aveva nello sguardo lampi d’energia e aggressività.
I temi del confronto sono stati l’immigrazione, la sicurezza, la lotta contro il terrorismo, l’economia – poco – e l’assistenza sanitaria, gli errori fatti e gli insulti lanciati nella campagna. Kaine ha così contestato a Trump le offese e le discriminazioni contro i messicani, i musulmani, le donne; Pence ha ricordato il “cesto di miserabili” detto dalla Clinton di metà dei sostenitori di Trump.
Kaine s’è dichiarato “spaventato a morte” dalla prospettiva di Trump comandante-in-capo. Pence ha giudicato “brillante” l’abilità di Trump nel pagare meno tasse possibile, o nel non pagarle del tutto, e ha rinnovato l’impegno a cancellare la riforma sanitaria del presidente Obama, l’ “obamacare”, che il marito di Hillary, Bill, con una evidente gaffe, ha appena definito, in un comizio nel Michigan, “la cosa più folle del mondo”.
La battuta più incisiva è stata quella di Kaine, secondo cui Trump ha il suo Monte Rushmore personale, con le effigie di Vladimir Putin, Kim Jong-un, Saddam Hussein e Muammar Gheddafi. “Questa se l’è preparata a lungo”, gli ha fatto eco, un po’ invidioso, Pence, che cercava di difendere le posizioni di Trump su Putin – “E’ un leader più forte di Obama” – o sul nucleare, quando Kaine ha ricordato le tesi del magnate sulla proliferazione nucleare, a favore del fatto che Arabia saudita, Giappone e Corea del Sud si dotino della bomba (“Questo è più sicurezza?”, ha chiesto, senza ottenere risposta).
Kaine ha pure ricordato che Ronald Reagan era preoccupato che qualcuno come Trump diventasse presidente, quando ammonì che “qualche idiota o maniaco poteva scatenare un evento catastrofico” con le armi nucleari. Pence ha replicato che si trattava di un commento basso e ha contrattaccato sulle responsabilità della Clinton nel Medio Oriente e nell’accordo nucleare con l’Iran. Entrambi hanno criticato l’altrui Fondazione.
Scontati i commenti dei due boss a fine dibattito. “Mike ha vinto alla grande: dobbiamo essere orgogliosi di lui”, firmato Donald. E “non otrei essere più orgogliosa di Tim”, firmato Hillary. Addirittura, il partito repubblicano ha “postato” le congratulazioni a Pence in anticipo: una sorta di premonizione, visto che gruppi d’ascolto e un sondaggio Cnn/Orc danno la vittoria al vice Trump, 48 a 42 per cento.
HILLARY SALDA IN TESTA
Sondaggio dopo sondaggio, Hillary Clinton si conferma salda in testa dopo il primo match con Donald Trump in diretta televisiva: la Nbc le dà sei punti sul suo rivale. E il vice-presidente Joe Biden si sbilancia: “Hillary vincerà nettamente”.
Mentre Trump perde posizioni anche nella classifica di Forbes dei più ricchi d’America: scende di 35 alla 156°, e si ritrova con un patrimonio ora valutato a 3,7 miliardi – lui lascia intendere che sia più del doppio –, 800 milioni in meno dello scorso anno. La classifica è guidata per il 23° anno consecutivo da Bill Gates e Trump vi figura dagli esordi, cioè dal 1982, all’inizio in coppia con il padre. Forbes attribuisce l’arretramento del magnate non al tempo da lui dedicato alla politica, ma a un raffreddamento del mercato immobiliare e a ulteriori informazioni sui suoi beni.