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Early voting positivo per Hillary in Florida e North Carolina

Buone notizie per Hillary Clinton da alcuni degli Stati in bilico dove è già aperto l’ “early voting”, cioè la possibilità di votare prima dell’Election Day, l’8 Novembre: il manager della campagna dell’ex first lady, Robert Mook, segnala una “significativa” mobilitazione degli ispanici in Florida (+ 73 per cento le richieste di voto per corrispondenza rispetto al 2012) e degli afroamericani e ispanici in North Carolina. Ispanici e afroamericani sono tendenzialmente favorevoli alla Clinton.

Un sondaggio della Monmouth University dà Hillary avanti di 10 punti su Donald Trump in Pennsylvania e pure avanti in Colorado e, appunto, North Carolina. Il sito 270towin.com, che prevede l’attribuzione dei Grandi Elettori ai due candidati, continua, tuttavia, a dare la Clinton a 200 e Trump a 163, lasciando non assegnati per ora 13 Stati, fra cui i più pesanti sono proprio, con l’incertissimo Ohio, Pennsylvania e North Carolina.

CHI VINCE E CHI PERDE TRA I VICE

John Podesta, il presidente della campagna della Clinton, gira, invece, la frittata del dibattito fra i vice di martedì notte, visto da circa 50 milioni di telespettatori, riconoscendo che il repubblicano Mike Pence ha vinto, ma sostenendo che Trump “ha perso”.

Per Podesta, Pence “è apparso un tipo ragionevole e piacevole, ma è parso più concentrato sulle sue prospettive presidenziali 2020 che su quelle di Trump nel 2016” e non avrebbe sufficientemente difeso le posizioni del suo boss. Il vice della Clinton, Tim Kaine, avrebbe invece fatto il suo lavoro, pur piacendo al pubblico meno di Pence.

La platea del dibattito fra i vice è stata simile a quella del 2012, secondo dati ancora preliminari. Invece, l’audience del primo dibattito fra Hillary e Trump il 26 settembre era stata record – 84 milioni di telespettatori – e ci s’interroga se sarà battuta al secondo round, domenica 8 ottobre.

MEDIA, ANCHE ATLANTIC MAGAZINE È PRO HILLARY

L’Atlantic Magazine dà uno storico endorsement a Hillary Clinton: nei 159 anni della sua storia, la prestigiosa rivista l’aveva fatto solo altre due volte, nel 1860 con Abraham Lincoln e nel 1964 con Lyndon B. Johnson. L’editoriale pro-Clinton contiene un pesante attacco a Trump, definito “il candidato di un grande partito più ostentatamente inadatto nei 227 anni di storia della presidenza americana”, nonché “un demagogo, uno xenofobo, un sessista, un ignorante e un bugiardo”.

Allo schieramento pro-Clinton della grande stampa Usa manca finora solo il Wall Street Journal, tendenzialmente conservatore.

Contro Trump, si sono finora schierati, fra gli altri, Nyt, Wp, Lat e anche media che non avevano mai sostenuto un candidato, come USAToday – dichiaratosi contro Trump, ma non pro Hillary – , o che da decenni sostenevano sempre il candidato repubblicano, come The Dallas Morning News, The Arizona Republic, The Cincinnati Enquirer.

Pure Vanity Fair ha bocciato il magnate: ”Con le parole o le azioni, Trump ha promosso la violenza, l’intolleranza, la menzogna e tutto quello che può essere sbagliato nella società”.

IL FIGLIO DI REAGAN PRENDE LE DISTANZE

Michael Reagan, figlio dell’ex presidente Ronald Reagan, respinge ogni paragone tra il candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump e suo padre, come evocato da Mike Pence nel dibattito con Tim Kaine. Su Twitter, Michael scrive: ”Mio padre non sosterrebbe questo genere di campagna”; e aggiunge che che se sua madre Nancy fosse ancora viva voterebbe per Hillary Clinton. ”Se questo è ciò che vuole il partito repubblicano, lascino fuori noi Reagan”.

Trump ha pure subito attacchi dal vice-presidente Joe Biden – “non è cattivo, ma è profondamente ignorante” –, mentre il Nyt, che ha il magnate un conto aperto, racconta che, come uomo d’affari, fu sull’orlo della rovina negli Anni Ottanta. S’è pure saputo che la “gola profonda” che ha fatto scoprire i magheggi fiscali del candidato repubblicano non aveva mandato la sua dichiarazione fiscale 1995 solo al Times, ma anche al Daily News, che però è stato più lento nelle verifiche.

Ma non sono tutte rose e fiori neppure per la candidata democratica, che registra qualche tensione con banchieri di Wall Street, un gruppo che normalmente è vicino ai Clinton.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)


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