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Finmeccanica, ecco gli effetti positivi degli investimenti in difesa e aerospazio

I progetti legati a beni e attività della difesa, pur partecipando con la loro natura di investimento come impegno temporaneo di risorse nell’attesa di benefici futuri, presentano alcune peculiarità che ne configurano il ciclo del progetto in modo sostanzialmente diverso da quello degli altri investimenti. Queste peculiarità dipendono dal fatto che i loro effetti sull’economia vanno per la gran parte al di là degli obiettivi specifici, generando ricadute su altri settori e altri progetti spesso impreviste e non intenzionali. Al contrario dell’attività di investimento ordinaria, per cui la ricaduta esterna dei benefici tende a essere un elemento minore, le ricadute sul singolo progetto nel caso della difesa e soprattutto quelle generate da una massa critica di progetti, tendono a prevalere per qualità e quantità sugli effetti diretti del progetto. Le ricadute delle attività volte ad aumentare la sicurezza nazionale dipendono da alcune caratteristiche fondamentali, che sono spesso oggetto di confusione o di scarsa conoscenza, a cui contribuiscono l’apparente diffusione e incorporeità delle attività di sicurezza e difesa.

Le attività di difesa non sono, infatti, necessariamente connesse agli armamenti o all’apparato militare, ma includono una vasta serie di programmi quali la costruzione e la manutenzione di settori produttivi nevralgici, di capacità di reazione e di intervento, e la predisposizione di piani strategici che consentono l’accumulazione razionale di informazione di breve e lungo termine. Benché le attività militari risalgano alle origini della civiltà umana, il loro sviluppo ha subito un’evoluzione progressiva in linea con gli sviluppi delle forme di governo democratico e della tecnologia. Quest’ultima, in particolare, è sempre stata la chiave vincente dell’affermazione e della diffusione dei modelli di difesa nazionale, sia come concausa degli indirizzi di espansione e influenza geopolitica degli Stati, sia come effetto degli investimenti in aree molto specifiche (armamenti, trasporti, sistemi di prevenzione e d’intelligence) e altamente dipendenti dal progresso tecnologico endogeno, ossia da quella forma di avanzamento della tecnologia che si basa sulla ricerca scientifica e che, in un certo modo, si autogenera. Le attività di difesa, inoltre, e l’aerospazio ne è un esempio eccellente, tendono a essere complementari con attività parallele civili (ossia non militari), sia attraverso contiguità di tipo tecnologico e produttivo, sia attraverso spill over di grande portata capaci di innescare vere e proprie rivoluzioni tecnologiche (come, per esempio, il caso di Internet, nato all’interno di un progetto di intelligence-comunicazione interamente militare).

Nonostante la ricerca scientifica sia alla base di tutta la nostra civiltà e dell’abbondanza e varietà dei beni che la caratterizza, il bene-difesa configura un bene pubblico, il cui monopolio è alla base dell’esistenza stessa del governo, che dipende in modo peculiare dalla conoscenza. A tale bene, la ricerca scientifica configura una capacità di accumulazione caratteristica dei cosiddetti beni pubblici puri: al contrario dei beni di consumo, per cui per definizione il consumo distrugge il bene consumato, la fruizione della sicurezza nazionale contribuisce a un clima di fiducia e produce a sua volta sicurezza. Ciò, sia nel senso che essa mette in grado il fruitore di confidare nell’unità e nella solidarietà civile in maniera sempre più consapevole, sia nel senso che essa rende più probabile e più efficiente la produzione di beni legati alla fiducia reciproca e alla sicurezza. C’è un circolo virtuoso potenziale, quindi, nelle attività di difesa, che raramente la natura ci regala in altri campi dell’economia: superato un certo livello critico, la fiducia generata da uno Stato capace di prevenire gli atti violenti e di difendere il cittadino dalle insidie interne ed esterne alle sue libertà fondamentali, entra in un sentiero di sviluppo che si autosostiene. Questo sentiero dipende dalla combinazione, del tutto peculiare, delle caratteristiche della difesa come bene fiduciario (ossia basato sulla fiducia e che dà fiducia) e dalla sua dipendenza dalla tecnologia.

Questa seconda caratteristica fa sì che la difesa sia uno strumento, almeno in parte involontario ma molto efficace, di correzione dei minori incentivi a finanziare attività di ricerca scientifica in un’economia di mercato, a causa della difficoltà da parte dei soggetti privati di appropriarsi in maniera esclusiva dei suoi risultati. Per una varietà di ragioni, il settore dell’aerospazio rappresenta un settore prototipico di investimento nelle attività di difesa. Anzitutto, esso raccoglie una tradizione nazionale in cui l’accumulazione di esperienze locali è un fattore cruciale di vitalità e di accumulazione.

In secondo luogo, l’impegno di risorse necessario per le produzioni dell’aerospazio fa sì che i progetti di investimento in questo settore abbiano caratteristiche qualitative e quantitative spesso di grande rilievo industriale e tecnologico. In terzo luogo, la tipologia delle performance e delle fruizioni coinvolge tutta la gamma delle attività di difesa, dagli armamenti ai trasporti, dall’intelligence alla tecnologia, sino all’esperienza della ricerca scientifica più avanzata. In quarto luogo, la difesa tipicamente condivide i suoi piani e le sue performance con il comparto civile dell’aerospazio con risultanti sinergie e spill over multipli. Infine, le crescenti difficoltà nei finanziamenti della difesa in Italia e nel mondo, nonostante le grandi cifre che tutti i Paesi, sviluppati e non, dedicano al settore, mettono in luce una contraddizione fondamentale del mercato.

Questo, infatti, si presenta diviso tra il segmento locale, vera fucina produttiva di prodotti e di tecnologia, e il mercato globale, che è invece specializzato nella produzione e nel finanziamento dei grandi progetti e, come tale, riesce a catturare la maggior parte dei rendimenti degli investimenti effettuati nei segmenti locali. In aggiunta ai benefici derivanti dall’incremento di sicurezza nazionale e di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, dai redditi di esportazione e dagli spill over tecnologici, i benefici dei progetti nel settore della difesa-aerospazio dipendono da tre fattori critici: la capability, ossia l’aumento di capacità di produrre, trattare e fruire di una o più classi di beni e attività inerenti direttamente o indirettamente al settore; la competence, o l’aumento della quantità e della qualità delle skill (termine che indica un insieme di abilità e specializzazioni) dello stato dell’arte; la serendipity,o l’acquisizione di esperienze innovative non deliberatamente perseguite. Questi tre fattori migliorano l’equilibrio tra consapevolezza e conoscenze esplicite e tacite della società e consentono un incremento dello stock di conoscenza critica e di benessere che va al di là di quanto è strettamente programmabile all’interno di un singolo progetto.

A queste peculiarità bisogna aggiungere che, a causa dell’incertezza che ne circonda gli esisti specifici e le ricadute, i progetti difesa-aerospazio (Da) possono essere anche visti, in termini della moderna teoria economica, come occasioni per creare opzioni reali, ossia opportunità di reazione e di resilienza, e in generale di fruizione e di esperienza del mondo, solo sommariamente delineabili ex ante. Come detto, i progetti ordinari sono concepiti come strumenti per generare, attraverso l’impegno di risorse nella fase di cantiere, benefici netti nella fase di regime. I progetti Da, tuttavia, a causa del loro rilevante contenuto interattivo di esperienza e di conoscenza, non si propongono di generare necessariamente benefici netti nella fase di regime, ma anche soltanto opportunità che possano essere la base, in una o più fasi di sviluppo successivo, per la generazione effettiva di benefici sociali. Allo stesso tempo, tuttavia, le peculiarità citate in precedenza assicurano che l’attività nel settore Da possa generare ricadute fin dalla fase di cantiere. Date queste premesse, è evidente che, pur potendo declinare il ciclo del progetto in modo simile, quello dei progetti Da assume forme e valenze diverse da quelle degli altri investimenti.

Anzitutto, la sequenza piani-programmi-progetti che per gli investimenti pubblici, e anche per quelli all’interno dell’impresa, tende ad assumere una forma gerarchica di programmazione verticale degli impieghi di capitale (il cosiddetto capital budgeting), pur nella necessaria poliarchia delle procedure dell’economia di mercato, nel caso dei progetti Da è necessariamente meno integrata, anche se non meno rigorosa. Il sistema che domina il mercato internazionale della Da tende infatti a riconoscere, all’interno di programmi-contenitore costruiti su problematiche generali, un’accentuata autonomia di proposta da parte dei governi, delle istituzioni nazionali e anche dei singoli operatori. Il nesso piani-programmi-progetti è quindi un nesso strategico piuttosto che un ordinamento gerarchico all’interno di una particolare amministrazione. Esso è più un tentativo di ricondurre l’esperienza dell’investimento all’alveo della razionalità economica attraverso un sistema di valutazione coerente, che un’attività di razionamento programmato di risorse. Quest’ultimo, peraltro, non va trascurato, anche se è estremamente più arduo dell’attività ordinaria di capital budgeting e di programmazione.

In secondo luogo, la valutazione dei progetti Da deve esercitarsi con cura sugli effetti previsti che, per quanto visto, sono solo parzialmente intenzionali e riguardano in gran parte effetti esterni sulla produzione di beni fiduciari, quali l’occupazione, le capabilities tecnologiche e, in generale, il capitale umano e sociale. Di conseguenza, grande attenzione è tradizionalmente stata data alla valutazione della qualità del processo, inteso come best practice, ossia come combinazione di input di qualità, secondo metodologie attendibili dal punto di vista delle conoscenze preesistenti e dei principi metodologici condivisi dalla comunità dei produttori e dei fruitori. In questo contesto, sia l’interpretazione del ciclo del progetto, sia delle metodologie di valutazione, deve intendersi come un tentativo consapevole di affermare degli standard condivisi. L’applicazione sistematica di tali standard su una pluralità di progetti si propone di sortire il risultato, non perseguibile nel singolo progetto, di favorire le ricadute positive dell’investimento nel settore Da sulla società.

Pasquale Lucio Scadizzo, docente di Politica economica e finanziaria presso l’Università di Roma Tor Vergata

(articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista Airpress)


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