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Tutti i politici che in Germania si sono reinventati manager

Peer Steinbrück - Imagoeconomica

Due settimane fa Peer Steinbrück (nella foto) si accomiatava dal Bundestag e più in generale dalla politica. Questo politico spigoloso è stato ministro delle Finanze nel primo governo di grande coalizione guidato da Angela Merkel. E in questa veste si è trovato a traghettare il Paese attraverso la crisi finanziaria e a puntellare alcune banche (tra queste Commerzbank e IKB) con iniezioni di soldi pubblici. Allora Steinbrück non si stancava di ripetere che le banche dovevano essere poste sotto più stretto controllo; era folle che – accecate dai profitti – mettessero a rischio intere economie.

Ma solo una settimana dopo il discorso d’addio al Bundestag, Steinbrück faceva sapere di aver accettato un incarico di consulenza presso la banca ING-Diba. La reazione è stata ovviamente di grande stupore. E tra i commenti via Twitter e altri social media uno dei più benevoleiè stato quello del comico Harald Schmid, il quale constatava: “È finito alla ING perché non c’era più posto alla Deutsche Bank”.

A Steinbrück queste critiche non devono aver fatto particolare impressione. È abituato. Qualcuno ricorderà che proprio i lauti emolumenti incassati dall’ex ministro (fino a 25 mila euro per un solo intervento presso un istituto o una compagnia), l’avevano azzoppato nella campagna elettorale per le politiche del 2013.

C’è chi sui social deplora l’avidità di Steinbrück, chi il passaggio quasi senza soluzione di continuità dai banchi del Bundestag alle poltrone dei piani alti dell’istituto. Una critica che peraltro non riguarda solo questo ex ministro. Ce ne sono stati parecchi altri, prima di lui.

Il più noto della serie resta l’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder. Questi, ceduta la guida del paese ad Angela Merkel a fine settembre 2005, già due mesi dopo, in dicembre, veniva nominato presidente del consiglio di sorveglianza di Nord Stream 1, la pipeline costruita dalla russa Gazprom. Notizia di questa settimana è che Schröder dalla fine di luglio, figura nel registro della Camera di Commercio della città svizzera di Zug anche come presidente del consiglio di sorveglianza  di Nord Stream 2. Un altro caso di cambio di casacca che ha suscitato scalpore è stato quello di Ronald Pofalla. Fino al dicembre 2013  capo di gabinetto della Kanzlerin, dal 1 gennaio 2015 responsabile dei rapporti politici ed internazionali della Deutsche Bahn.

Ancora più delicati sono stati i passaggi dalla politica all’economia reale di Dirk Niebel e Daniel Bahr, due ministri del partito liberale (Fdp) nella coalizione Unione/Fdp 2009-2013. Niebel, ex ministro per lo Sviluppo, è diventato dal gennaio 2015 capo lobbista dell’industria di Armamenti Rheinmetall. Daniel Bahr ex titolare della Sanità ha assunto invece già nel novembre 2014 la direzione del ramo assicurazione sanitaria del gruppo Allianz. Due casi che hanno creato particolare scalpore per la contiguità tra precedente incarico pubblico e successivo incarico privato. Nel caso dei ministri liberali va però aggiunto che le elezioni politiche di fine settembre 2013 li avevano resi disoccupati. L’Fdp non aveva superato nemmeno la soglia di sbarramento del 5 per cento, necessaria per entrare al Bundestag. Dunque bisognava cercarsi un nuovo lavoro. Una necessità che non era altrettanto impellente per l’ex governatore del Baden Württemberg nonché ex capo dell’Spd Kurt Beck. Lo stesso, dopo 16 di governo del Land e un buco di 330 milioni di euro per il parco divertimenti Nürburgring voluto anche da lui, si è dimetteva nel gennaio del 2013 per motivi di salute. Sei mesi dopo si apprendeva che Beck ora affiancava il gruppo farmaceutico Boehringer Ingelheim in veste di consulente.

Come hanno appurato i giornalisti di Orange (edizione fatta dai giovani per i giovani del Handelsblatt) dal 2002 al 2013, cioè nel corso delle ultime tre legislature, sono stati 623 i deputati che hanno lasciato la politica (elenco completo). Quasi un intero Bundestag, se si tiene conto che nell’attuale siedono 630 deputati. E dei 623 che hanno lasciato la politica, 94 svolgono ora attività di lobbying.

Che alle compagnie interessino soprattutto politici con un portafoglio di contatti nutrito è aggiornato è cosa ovvia. Ma l’effetto che questi cambi hanno sull’opinione pubblica sono altrettanto facilmente immaginabili. Motivo per cui Unione (Cdu/Csu) e Spd dopo accesi dibattito si erano accordati nell’ottobre 2014, su modifiche della normativa vigente. Mentre per i deputati semplici non vi è obbligo alcuno, per i ministri e i segretari di stato vige da inizio 2015 l’obbligo di comunicare al governo eventuali nuovi incarichi nel settore privato, se questi si concretizzano entro i 18 mesi dalla fine dell’incarico pubblico.

È probabile che non siano solo i soldi ma anche una considerazione sempre più bassa di cui gode il politico, a spingere un numero crescente di deputati a lasciare la politica. Il che ha però anche un risvolto positivo. Il politico a vita, che senza la poltrona di deputato non saprebbe che fare di sé, si sta estinguendo. Il che non è necessariamente un male.

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