Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Che cos’è la Global Strategy su difesa e sicurezza comune

europa

Lunedì 17 ottobre, tra i ministri a 28, in Consiglio affari esteri, si parla ancora della Global strategy (di difesa e sicurezza europea) in vista di un piano di attuazione da approvare a novembre e da ratificare a dicembre al Consiglio europeo. Sono i tempi dell’Unione, che appaiono lenti e inefficaci. Eppure Federica Mogherini, il 28 settembre, dopo averne parlato con i ministri della difesa accennava al fatto che le politiche europee stanno andando avanti in fretta, e che gli Stati membri (forse anche l’Italia) faticano a star loro dietro.

LA GLOBAL STRATEGY È OVVIAMENTE SIA “STRATEGIA” SIA “GLOBALE”

In tempi di minacce ibride, la difesa si fa non solo con gli eserciti, ma con strumenti variegati, che non riguardano solo l’aspetto militare, ma anche quello sociale, di sviluppo economico. In un mondo di minacce “ibride” bisogna rispondere con strumenti adattati per livello e circostanza. Quindi la Global strategy è anzitutto un concetto (una strategia) che permette di adottare decisioni operative adattate ai singoli contesti e con strumenti diversi. E’ poi globale, perché è un ragionamento complessivo sulla difesa europea, che è interna ed esterna, va dalla cyber-sicurezza alla stabilità dei vicini e al mantenimento dei migranti a casa loro, all’integrazione interna, all’intelligence e alla ricerca in ambito militare, interagendo con tutte le aree geografiche che possono relazionarsi con l’Europa. Non basta parlarne con ministri della difesa, un analogo lavoro va fatto con altre competenze, per esempio con i ministri degli interni (Consiglio giustizia affari interni), oppure con quelli dell’economia (Ecofin).

LA DIFESA EUROPEA È GIÀ IN CORSO

Ci si può lamentare, ma già le navi europee stanno pattugliando il Mediterraneo con l’operazione Sophia (Eunavformed), ascoltano e fanno da ponte per la Libia, per dirne una. Ci sono 17 missioni civili e militari all’estero dell’Unione, dai Balcani all’Afghanistan, dal Mali al Niger all’Etiopia. In questi tre ultimi paesi si è recata Angela Merkel dal 9 all’11 ottobre, sulla scia della visita africana dell’1-3 maggio dei ministri degli esteri francese, Jean-Marc Auyrault, e tedesco, Frank-Walter Steinmeier. Gli strumenti giuridici per creare queste missioni, però, sono da superare: si fondano su prevalente base volontaria, ognuno mette i soldi e i mezzi per quello che si sente (Petersberg/Athena). Bisogna creare, invece, una forza propria, un po’ come le guardie di frontiera appena costituite, che faccia più o meno il mestiere attuale, di formazione militare, di missioni civili adatte ai luoghi e ai tempi. Non occorre molto, sono sufficienti gli strumenti previsti dal trattato di Lisbona, e anche la dimensione di una brigata: su questo bisogna stabilire il “livello di ambizioni”. E’ un approccio operativo e meno sognante di un federalista “esercito europeo”. Il passo avanti sta nel fondamento sulle “risorse proprie” dell’Unione.

NATO ED EUROPA NON SOLO COMPLEMENTARI, MA INTEGRATE

D’altra parte il grosso della difesa militare è in capo alla Nato. Inutile sovrapporsi quando, anzi, bisogna coprire molti spazi in cui siamo fragili o poco efficaci: nel soft power, sulla cibersicurezza, nella stabilizzazione e aiuto allo sviluppo dei paesi vicini, favorendo la loro resilienza, nella formazione e anche qualche intervento puntuale, appunto con le piccole brigate. Sono cose non solo complementari, da integrare con la Nato perché così è meglio appoggiata nelle azioni di accompagnamento, si può concentrare sulla difesa militare in senso proprio, ha un terreno preparato e gente (gli europei) che un po’ già si difende da sola, sulle azioni puntuali, sull’ibrido, pesando meno sulle casse statunitensi. Anzi, gli europei possono dedicare qualche energia e denaro nella ricerca e nell’equipaggiamento (Piano d’azione per la difesa) visto che hanno un’industria e competenze che vanno meglio organizzate e messe a frutto. E’ il terzo pilastro della Global strategy. Inoltre, sotto la minaccia russa e dell’Isis, tra giugno e settembre, Nato e Unione europea hanno condiviso un programma di lavoro approvato a Varsavia l’8 e 9 luglio e già in attuazione su alcuni punti; il segretario generale Jens Stoltenberg ha partecipato non solo per cortesia a varie riunioni dei consigli dell’Unione, come la Mogherini a quelle Nato.

QUALI RISULTATI DOPO DICEMBRE?

La Global strategy è stata avviata a giugno 2015 ed è stata presentata il 28 giugno 2016 mentre i riflettori erano puntati sulla Brexit, come Formiche.net ha raccontato. Ora, il 17 ottobre, si va avanti con l’esame di un piano di attuazione da ratificare a dicembre, con misure già esistenti, altre operative e altre da adottare con legislazione dell’Unione (direttive o regolamenti), con effetti visibili tra il 2017 e il 2018.
E’, quindi, un processo in corso. Anche solo guardando per settori, la guardia costiera è stata approvata ed è in funzione (per intanto in Bulgaria), il flusso della rotta balcanica si è ridotto a un minimo fisiologico, il codice Pnr per monitorare i passeggeri aerei è in fase di attuazione e da completare entro maggio 2017, Europol si rafforzerà con 90 unità e con un nucleo antiterrorismo, entro dicembre si approverà probabilmente il superamento settoriale del modello volontaristico a favore di un’organizzazione stabile europea, con Agenzia di difesa, ricerca comune e passi avanti nel coordinamento della produzione militare. Nel 2017, Bruxelles potrebbe sparare simbolicamente qualche colpo, anche se la difesa in senso proprio si fa in ambito Nato, ma presto in modo meno passivo, con un motore più operativo interno all’Unione.

Si può pensare che siano esercizi irrealistici o comunque troppo lenti. Se dovesse partire domani un’invasione dell’Ucraina meridionale o dei Paesi baltici useremmo gli strumenti attuali. Tuttavia, a lavorare come formiche, i tempi comunque scorrono, e diventano poi talmente brevi che – come diceva la Mogherini – gli Stati faticano a seguire.

Per esempio, sempre in materia di sicurezza, la nostra Italia che lamenta le lentezze europee non ha ancora attuato lo scambio dei dati su targhe degli autoveicoli, impronte digitali e banca dati dna (accordo di Prüm o Schengen III) ed è entrata in una procedura d’infrazione con messa in mora da settembre 2016. E’ in compagnia di pochi altri ritardatari: Grecia, Portogallo, Croazia, Irlanda.

×

Iscriviti alla newsletter