“Non ci faremo distrarre”, dice Hillary Clinton in un comizio in Florida, dove eccezionalmente arriva senza la sua principale collaboratrice Huma Abedin, coinvolta nei sussulti dell’inchiesta dell’Fbi sulle mail. Ma la riapertura dell’indagine annunciata dal direttore James Comey domina gli sviluppi della campagna elettorale negli Stati Uniti.
Sabato, è stata una giornata di retroscena che costituiscono solo tasselli di un puzzle incompleto, dove le domande senza risposta sono molte. Gli Stati Uniti precipita verso il voto nell’ambiguità, mentre un sondaggio di Abc e Washington Post segnala l’erosione del vantaggio della Clinton: due soli punti su Donald Trump, prima della decisione dell’Fbi di riaprire l’inchiesta sulle mail della candidata democratica.
La stampa Usa non ha ancora scoperto che cosa ci sia nelle mail in possesso dell’Fbi che giustifichi la riapertura dell’inchiesta a pochi giorni dall’Election Day. E tutti sono concordi, i media, dal Nyt al Wp, ma anche la Clinton e Trump, nel chiedere che la polizia federale faccia luce piena e subito; la stampa non maschera riserve sul tempismo della decisione e dell’annuncio.
Il direttore dell’Fbi James Comey ha agito dopo avere ricevuto, giovedì pomeriggio, informazioni da due suoi collaboratori, contro il parere del segretario alla Giustizia Loretta Lynch e ignorando un avviso del dipartimento che stava violando la prassi. In una lettera ai suoi dipendenti, Comey spiega d’avere sentito l’obbligo di andare avanti, pur consapevole del rischio di fraintendimenti, dopo che lui stesso aveva chiuso a luglio l’inchiesta sull’emailgate con un non luogo a procedere.
L’unico punto apparentemente fermo è che le mail non sono quelle di quando la Clinton, segretario di Stato, utilizzò un server privato invece di quello istituzionale (mettendo a rischio la sicurezza degli scambi) e neppure quelle hackerate alla campagna democratica e diffuse da Wikileaks. Escono dagli apparati informatici della più stretta collaboratrice di Hillary, la Abedin, sequestrati insieme a quelli di suo marito Anthony Weiner, implicato in una vicenda di messaggi sessuali.
Nell’attesa di sapere e di capire, il danno alla sua campagna della Clinton è fatto e Donald Trump esulta. ”Il popolo americano merita i fatti al completo, immediatamente – dice la Clinton – E’ imperativo che l’Fbi spieghi”. Hillary è ”certa che le nuove mail non muteranno le conclusioni già raggiunte dall’Fbi” a luglio: ”Ho visto la lettera inviata al Congresso dal direttore Comey […] Lui stesso dice di non sapere se le mail siano rilevanti o meno […] Il voto è in corso, il popolo americano merita di conoscere immediatamente i fatti al completo: è imperativo che l’Fbi spieghi la questione e sollevi i quesiti che ritiene, senza ritardi”.
Trump gongola, ma ne sa poco anche lui. “E’ il più grande scandalo politico dal Watergate, tutti sperano che giustizia sia fatta”, dice il magnate, fiducioso che “la giustizia prevarrà”. L’Fbi – osserva – non avrebbe fatto il passo se non lo avesse ritenuto necessario. Gli replica Carl Bernstein, il cronista del Washington Post che, con Bob Woodward, fu l’artefice dell’inchiesta che condusse, nel 1974, alle dimissioni di Nixon: questo “non è un Watergate”, anche se – ammette – la decisione non sarebbe stata presa “se non ci fosse qualcosa di veramente serio”.
Il clamore fa passare in secondo piano un’altra polemicuzza: i Clinton avrebbero recentemente ristrutturato una proprietà immobiliare senza aver ottenuto i permessi necessari. Secondo The Journal News, la casa in questione, acquistata in agosto per 1,6 milioni di dollari, è proprio accanto alla residenza della famiglia a Chappaqua nei pressi di New York. Dopo l’acquisto, i Clinton avrebbero rinnovato la piscina, la cucina e l’illuminazione, senza i dovuti permessi. Un ispettore avrebbe compiuto un sopralluogo il 5 ottobre, dopo avere ricevuto una segnalazione.