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Hopper, l’America solitaria di un artista novecentesco

A distanza di sei anni dall’ultima mostra organizzata dalla Fondazione Roma Museo, torna nella capitale una retrospettiva dedicata al pittore statunitense Edward Hopper, noto al grande pubblico per i suoi ritratti della solitudine nella vita americana contemporanea. La mostra, allestita nelle sale del Vittoriano (l’Altare della Patria) fino al 12 febbraio, propone opere famose insieme a studi preparatori meno noti, per guidare lo spettatore a comprendere il suo percorso artistico.

Nato a Nyack nel 1882 e morto a New York nel 1967, Hopper è uno degli artisti più amati dal pubblico internazionale, per le emozioni e le visioni che evocano i suoi personaggi e per la sua pittura, caratterizzata da un cromatismo assolutamente suggestivo. La sua celebre frase, “non dipingo quello che vedo ma quello che provo”, spiega perfettamente la sua filosofia artistica. Hopper utilizzò composizioni e tagli fotografici simili a quelli degli impressionisti che aveva visto dal vero a Parigi, durante i suoi viaggi giovanili, ma di fatto il suo stile fu personalissimo e imitato, a sua volta, da cineasti e da fotografi.

L’esposizione romana vanta una sessantina di capolavori realizzati tra il 1902 e il 1960, prestati tra l’altro dal Whitney Museum di New York, tra cui le opere iconiche “Le Bistro or le Wine Shop” (1909), “Summer interior” (1909), “New York interior” (1921), “South Carolina Morning” (1955) e “Second Story Sunlight”(1960). E l’olio su tela “Soir Bleu”, realizzata da Hopper nel 1914 a Parigi. All’esposizione si aggiunge una sezione inedita, dedicata all’influenza del’artista sul grande cinema, come nei film che hanno per protagonista il detective Philip Marlowe, creato dallo scrittore Raymond Chandler, i lavori di Hitchcock  e di Michelangelo Antonioni , fino ai diversi riferimenti hopperiani ne “Il grido”, “Deserto rosso” e “L’eclisse”. In “Profondo rosso”Dario Argento ricostruisce “Night hawks” nella sequenza del bar, in “Velluto blu” e “Mullholland Drive” David Lynch si ispira a molte opere di Hopper, così come Wim Wenders in “Paris Texas” e i fratelli Coen in “L’uomo che non c’era”.

La retrospettiva è organizzata da Arthemisia Group con il Whitney Museum of American Art di New York ed è curata da Barbara Haskell in collaborazione con Luca Beatrice.


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