Internet of things, Industry 4.0, Big data, Nanotech, Robot collaborativi, Stampa 3D: sono queste le parole chiave che segnano la Quarta rivoluzione industriale, quella che tutti noi stiamo già vivendo e che produrrà nel breve tempo nuovi equilibri competitivi fra aziende, Paesi e classi sociali.
A raccontare (con grande lucidità e senza farsi prendere dagli slogan dell’Industry 4.0 fatti da chi non sa di cosa parla) se e come l’Italia si sta preparando a questa sfida è “Industriamo l’Italia!”: il nuovo libro di Filippo Astone (la sua settima fatica editoriale) in libreria dal oggi per i tipi di Magenes.
Astone è un giornalista noto per il dibattito che suscitano i suoi pamphlet e per il suo programma di successo “Fabbrica 2.4 – Viaggio nell’industria che cambia” in onda su Radio24 il sabato alle 14 e la domenica alle 13.10.
Industriamo l’Italia! attraversa l’economia reale italiana (la seconda in Europa e la settima nel mondo) proprio nel momento del cambiamento orientato a questa rivoluzione, offrendosi al lettore come una guida utile a fare i conti con una opportunità epocale per il Paese: occasioni di ampliamento di business, razionalizzazione e innovazione nel modo di produzione, ampliamento della ricerca con acquisizione di nuove conoscenze e formazione di nuove figure professionali. Industriamo l’Italia! è anche un’appassionata difesa della politica industriale. Nel libro si spiega che cosa sia essa davvero, come mai la sua assenza sia alla base del declino dell’economia nazionale, come sia importante che l’Italia se ne doti velocemente. Così come hanno fatto altri grandi Paesi industrializzati. È grazie a scelte forti di indirizzo economico che Germania e Stati Uniti progrediscono economicamente e procedono rapidi nella direzione tracciata dall’Industry 4.0, investendo direttamente e/o costruendo istituzioni finanziarie e di ricerca che accompagnano lo sviluppo dell’impresa. Industriamo l’Italia! fa dunque piazza pulita dei luoghi comuni attorno al protagonismo dello Stato e sostiene che la politica industriale non è una leva propria ai regimi totalitari (è forse comunista Angela Merkel? Lo è forse Obama?). Non può essere neppure intesa quale cieco aiuto surrettizio di cui beneficiano alcuni interessi economici piuttosto che altri. La politica industriale deve essere orientata ad accompagnare, sostenere, rafforzare le imprese e soprattutto a intervenire con fondi statali a sostegno di quella ricerca di base che per le aziende diventa un vantaggio competitivo enorme. Il libro di Filippo Astone non solo radiografa il ruolo pubblico in Usa, Germania e Francia quale protagonista del disegno di industrializzazione attuale e futura, ma si spinge a proporre alcune strade percorribili da subito qui, in Italia.
“Industriamo l’Italia!- spiega Astone- nasce come risposta fattiva a un senso di profonda indignazione, forse anche di rabbia. L’indignazione per il fortissimo divario fra quello che l’economia italiana è realmente e come, invece, viene rappresentata nel dibattito politico e giornalistico. Siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa e il settimo al mondo, abbiamo fabbriche all’avanguardia, siamo figli ed eredi di una tradizione artigiana che affonda le sue radici nel Rinascimento, i nostri stabilimenti produttivi sono imitati e portati ad esempio ovunque. Ma parliamo di noi stessi come se fossimo la terra di cuochi, ristoratori, agricoltori, stilisti, moda- ioli, servizi finanziari, società quotate, bla bla e cincillà. Se fosse solo una questione di parole, pazienza. Ma è la parola che dà forma alla realtà. Così, da quelle locuzioni senza aderenza ai fatti, derivano poi concrete decisioni che cambiamo la vita di tutti.
L’indignazione per l’enorme velo di luoghi comuni e ignoranze assortite che, in Italia, copre la politica industriale, che rappresenta la Grande questione negata di questo Paese. Non solo: l’assenza di politica industriale è tra le principali motivazioni per cui l’economia italiana – a differenza di tutte le altre del mondo occidentale – è ancora al di sotto dei livelli precedenti la grande recessione iniziata nel 2008 e nel resto del mondo terminata nel 2013. Per non parlare dell’arretramento fortissimo che in questi anni ha subito l’intera società italiana, sempre più povera, sperequata, immobile e incapace di offrire speranze, sogni e dignità ai suoi giovani che, per- tanto, scelgono sempre più spesso di emigrare. Nel 2014, ultimo anno disponibile a livello di dati, 100mila italiani si sono trasferiti all’estero. Un vero e proprio record da trent’anni a questa parte. Come se in blocco la popolazione di Piacenza o di Ancona se ne fosse andata. E questi emigranti sono per oltre il 70% laureati e under 40. Andare via, andare lontano perché si è certi che i propri sogni, qui in Italia, non si realizzeranno mai.”
Questo saggio perora fortemente la causa della politica industriale, dimostrando quanto sia utile, necessaria, anzi vitale per un paese come l’Italia. La politica industriale è un imperativo categorico.
Il primo capitolo di Industriamo l’Italia! spiega che cosa è davvero una politica industriale e perché in Italia ce ne sia un bisogno tanto forte e fa capire perché l’industria è tanto importante per la vita di tutti, e quanto poco siano sensati e aderenti alla realtà i luoghi comuni che la circondano.
Il secondo capitolo tratta delle politiche industriali di Germania e Stati Uniti, raccontando che cosa è avvenuto in quei paesi, e perché le loro economie sono decollate.
Il terzo capitolo spiega che cosa è davvero la manifattura italiana oggi.
Il quarto si sofferma sulle quattro rivoluzioni che sconquasseranno l’industria in tutto il mondo: Industry 4.0, Nanotech, Robot collaborativi, stampa 3D.
Il quinto capitolo parla dei distretti industriali e di come una politica industriale, nel terzo millennio, debba per forza partire dai territori.
Il sesto capitolo verte sul ruolo, in tutto questo scenario che cambia, di Confindustria e degli altri corpi intermedi.
Il settimo capitolo, infine, presenta l’agenda di cose da fare per rafforzare davvero l’industria italiana.
“L’indignazione- continua Astone- nel vedere che il governo Renzi, in due anni di “riforme”, non ha fatto niente, ma proprio niente, ma assolutamente niente per supportare la grande fonte di ricchezza dell’Italia, ovvero la sua industria. La questione industriale, prima ancora della politica industriale, è completamente fuori dall’agenda di Matteo Renzi, dei suoi collaboratori, dei suoi ministri. Ciò si verifica per colpa di totale assenza di consapevolezza, unita a una certa ignoranza, da parte dell’attuale leadership politica. La manifattura non è mai all’ordine del giorno, se non quando si deve tentare di tamponare crisi industriali tipo Ilva di Taranto. Ma questo non avviene in Germania, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e altri sistemi-paese che, spesso, battono l’Italia perché i produttori hanno alle spalle un assetto politico che li supporta, pur evitando il dirigismo.
L’indignazione provocata dalla quantità enorme di ostacoli che, tutti i giorni, affliggono e angariano chi fa industria in Italia. L’indignazione derivante dal sapere che, in questi anni, la manifattura e la società globale sono sconquassate da quattro rivoluzioni tecnologiche di portata storica: Industry 4,0, Nanotech, Robotica collaborativa, Stampa 3D. Però queste rivoluzioni, e i relativi sconquassi, in Italia sono fortemente sottovalutate. Se non per dire, qualche volta, che ci sarà un bagno di sangue e che molti posti di lavoro verranno distrutti. Asserzioni inutilmente catastrofiche e poco vere in senso assoluto. In realtà, se saremo bravi a cavalcare queste rivoluzioni, molte imprese ne potranno trarre profitto, e tanti posti di lavoro di alta qualità saranno non distrutti, ma addirittura creati, con benefici potenziali altissimi per le nuove generazioni.”