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Ecco come Roberta Pinotti minimizza le operazioni dell’Italia con la Nato in Lettonia

Di Michele Arnese e Emanuele Rossi

Lunedì sera, durante il programma “Otto e mezzo” condotto da Lilli Gruber, in onda su La7, incalzata dalle critiche della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che ha già definito “un’idiozia” lo schieramento dei militari italiani in Lettonia nel quadro nato di rafforzamento sul Fronte orientale europeo, il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha rivendicato il ruolo italiano nell’aver fatto pressioni per minimizzare questa presenza nell’ambito dell’Alleanza.

“Non volevamo occupare la Russia con 150 Alpini”, ha replicato ironica Pinotti, sostenendo che l’Italia ha sempre avuto un atteggiamento aperto nel mantenere un dialogo con Mosca, ma che dopo quello che è successo in Ucraina e in Crimea e davanti alla richiesta “di solidarietà” degli alleati di quell’area geografica, la Nato doveva dare una risposta. “Non vuol dire che si schierano le truppe sui confini russi, ma vuol dire che le esercitazioni che la Nato fa in genere tradizionalmente in varie nazioni in questo caso vengono fatte in quattro nazioni dell’Est”, ha detto il titolare della Difesa e ha aggiunto che “l’Italia si è battuta perché non ci fosse uno spostamento dei comandi Nato a Est e perché queste esercitazioni fossero temporanee”.

Pinotti ha rivendicato di aver ottenuto questo insieme a Francia e Germania, perché non pensa che si debbano alzare troppo i toni del “conflitto”, da ciò deriva “il numero limitato” dello schieramento. Aver ottenuto che l’Italia, una delle principali nazioni della Nato, porti soltanto 150 uomini – il cui dispiegamento sarà deciso in Parlamento, ha annunciato Pinotti – è rappresentativo di questo successo politico ottenuto da Roma all’interno dell’alleanza, secondo Pinotti. A quel punto, non partecipare per niente, secondo la ministro italiana, avrebbe significato addirittura decidere o meno se restare dentro all’Alleanza Atlantica: per Pinotti è un segnale che inquadra perfettamente il ruolo di Roma, che ha sostenuto la necessità di “Fermezza e Dialogo” (per usare le parole del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni) nell’affrontare la crisi dei rapporti con la Russia.

Germania, Francia e Italia hanno sempre avuto atteggiamenti più morbidi e dialoganti verso la Russia (molto per interessi diretti), anche sul tema sanzioni, che invece hanno avuto nel Regno Unito e nei paesi dell’est i paletti più rigidi e fermi. Pinotti ha sottolineato con una domanda: “Non possiamo esercitarci in Lettonia invece che in Spagna?”. Ma nel costitutivo dei quattro robusti battle groups, riportato al punto 40 del comunicato conclusivo del vertice Nato di Varsavia di luglio, queste “esercitazioni”, come le ha ribattezzate il titolare della Difesa sono invece definite: Enhanced Forward Presence, ovvero una presenza avanzata e rafforzata che ha come compito di stanziarsi in quei paesi per rappresentare “una risposta immediata degli alleati contro ogni aggressione” che sarà “based“, basata, e si integrerà con le forze armate già presenti nei rispettivi paesi. Un dispositivo stanziale insomma, i cui tempi per il momento non sono determinati (seppure oggetto di rotazioni periodiche tra i vari membri partecipanti), più che forze che faranno delle semplici esercitazioni, anche se non saranno permanenti come invece richiesto dai Paesi baltici; e questo sulla base degli accordi Russia-Nato del 1997 (quelli sulle limitazioni all’allargamento a est dell’Alleanza). Nell’analizzare il valore strategico di questo schieramento, anche il direttore di Rid Pietro Batacchi aveva puntualizzato su Formiche.net che “la Nato ha scelto di piazzare un dispositivo non meramente rotazionale, ossia non dispiegato per qualche settimana per compiere esercitazioni, ma posizionato di stanza in quelle aree”.

Per quel che concerne i comandi, in Polonia, Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania ed Estonia sono già presenti le Nato Force integration unity (Nfui). Composti da una quarantina di ufficiali, sono quartier generali (comandi) istituiti nel 2015 nell’ambito del piano di risposta rapida dell’Alleanza. Il personale permanente che li compone, metà locali metà dei vari membri a rotazione, ha il compito strategico-tattico di collegare le forze armate dei paesi ospitanti con le unità di risposta rapida, come le Vjtf create sempre dopo la crisi ucraina.


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