La Moldavia, uno dei punti critici del fronte orientale, va al voto, domenica 30 ottobre, per eleggere il presidente della Repubblica. È una figura che ritorna: la Corte costituzionale del piccolo e debole Paese di 3 milioni e mezzo di anime ha restaurato l’elezione diretta del Presidente annullando la decisione di riforma costituzionale adottata nel 2000. Ne aveva dato notizia il 4 marzo 2016, evitando in questo modo possibili elezioni parlamentari anticipate, paventate da una difficile crisi politica attraversata tra ottobre 2015 e il 27 gennaio 2016, quando era stato eletto primo ministro Pavel Filip, come Formiche.net aveva raccontato.
L’esito dell’elezione del Presidente non è scontato, nella netta divisione tra un fronte pro-europeo e uno pro-russo.
Dal 2014, la Moldavia ha attraversato un periodo complesso e difficile. La pressione russa, contraria all’Accordo di associazione con l’Unione europea firmato il 27 giugno 2014, si è accompagnata alla sottrazione da tre banche di 1 miliardo di euro, circa l’8% del Pil del Paese, nell’immediata vigilia delle elezioni del 30 novembre 2014, mentre ancora governava il blocco filo-europeo, guidato dal primo ministro Iurie Leancă. Ne sono seguite proteste di piazza – in particolare a maggio e settembre 2015 – un periodo di opacità e di scontri politici. Si è osservato l’avvento di forze nuove di supporto anti-occidentale, come “Il nostro Partito” (Partidul Nostru) di Renato Usatîi, divenuto sindaco di Balţi, la seconda città del Paese, ma anche di un movimento politico spontaneo, “Dignità e Verità” (Demnitate şi Adevăr), che a lungo è rimasto nelle piazze a chiedere dimissioni e maggiore trasparenza. E’ seguita la crisi politica d’autunno 2015 risolta il 27 gennaio 2016, ma segnata il 15 ottobre 2015 dall’arresto di Vlad Filat, leader politico e “oligarca” accusato nel quadro del furto del miliardo di euro, e da arresti per attacchi previsti nel nord del Paese, il 24 novembre 2015. Ai problemi esterni si è spesso associata la pressione esterna: ai primi di agosto 2016, è stato registrato il superamento del fiume Dniester da parte forze armate russe che ancora sono di stanza in Transnistria.
Negli ultimi mesi, vari esponenti politici pro-europei hanno ritirato la loro candidatura alle presidenziali a favore di Maia Sandu, laureata a Harvard e già ministro dell’educazione. La sostengono il leader di “Dignità e Verità”, Andrei Nastase, così come Marian Lupu, già presidente del Parlamento – transitato dal partito comunista filo-occidentale al partito democratico: sono valutati ciascuno intorno al 12-13%. Sono di figure di richiamo, il primo per il messaggio di rinnovamento e di contrasto alla corruzione, il secondo per la continuità politica con l’apertura a occidente, legata al maggiore potentato politico-economico, guidato da Vladimir Plahotniuc, proprietario di quattro televisioni e tre radio, dotato di capacità politiche, reti e alleanze. Con un messaggio invece anti-oligarchie e di affrancamento da Plahotniuc intende presentarsi da solo il liberale Iurie Leancă, stimato intorno al 3%.
Il partito socialista filo-russo, con tanto di manifesti di amicizia a Putin, è valutato intorno al 30 per cento e presenta Igor Dodon, già ministro dell’economia e del commercio tra il 2006 e il 2009 e presidente del partito dal dicembre 2011. Tra le sue proposte vi è anche la risoluzione del conflitto in Transnistria con la creazione di una federazione moldava, con richiami all’analoga proposta russa per il Donbass ucraino.
Se il 30 ottobre nessuno dei candidati dovesse raggiungere la maggioranza del 50%, si andrà al ballottaggio, appunto tra il socialista filo-russo Igor Dodon e la coalizione filo-occidentale di Maria Sandu.