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Perché è semplicistico dire che in Marocco hanno vinto gli islamisti

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Il Partito Giustizia e Sviluppo (Pjd) si è riconfermato al potere nelle elezioni legislative del 7 ottobre in Marocco. Ha ottenuto 125 su 395 seggi della Camera dei rappresentanti. È il primo partito per circoscrizione (98 su 305) e per lista nazionale, riservata a donne e giovani (27 su 90). Al secondo posto è arrivato il Partito Autenticità e Modernità (Pam) con 81 seggi per circoscrizioni e 21 per lista nazionale. La grande delusione, con soltanto due seggi, è stata la cosiddetta “terza via” del Partito Socialista Unificato (Psu), unica donna alla guida di un partito politico nel Paese.

SPECCHIO DELL’IDENTITÀ MUSULMANA

La vittoria del Pjd era prevista dagli osservatori. Dire però che in Marocco hanno vinto gli islamisti non è del tutto aderente alla realtà del Paese e non tiene conto della evoluzione politica e storica di questo partito. In una conversazione con Formiche.net, la giornalista e scrittrice italo-marocchina Karima Moual (nella foto) spiega perché il caso del Pjd è unico e impossibile da replicare in altri Paesi: “È semplicistico dire che in Marocco hanno vinto gli islamisti. La vittoria del Pjd non può essere assimilabile ad altri. Non può replicarsi un modello con una storia tutta sua. Questo partito ha una storia e una peculiarità tutta sua nel panorama democratico marocchino e non può essere equiparabile ad altri partiti islamisti nell’area. Si tratta di un partito che è specchio dell’identità musulmana del Paese, più che islamista”.

“Il Pjd vince anche a causa della regressione della sinistra in tutto il mondo – ha detto Moual -. Il fattore islamico, pur se moderato nel Pjd, è comunque il miglior antagonista ai venti xenofobi e islamofobi che avanzano in Occidente. La vittoria del Pjd era dunque più che prevista per il contesto internazionale in cui si inserisce e anche per quello interno, che ricordiamolo –  nonostante passi da gigante – il Marocco deve ancora fare i conti con la povertà e  l’analfabetismo, solo per fare qualche esempio”.

LA PRAGMATICITÀ DEL PJD

Il Pjd è un partito conservatore tradizionale, come d’altronde lo sono – in maggiore o minore quota – quasi tutti i partiti politici del Marocco. È entrato nel gioco politico del Paese nel 1998 e ha sempre avuto un atteggiamento pragmatico. “La società marocchina è musulmana. Il Re è l’emiro dei credenti. Nella Costituzione la parola Islam è chiara. Difficile trovare altri partiti che non si identificano a questo pilastro fermo. Nel Pjd però sanno che non possono fare di questo un limite della loro governance. Hanno sempre fatto alleanze politiche. Nel 2011 c’è stata una coalizione di governo con gli ex comunisti, socialisti e con la destra”, dice la giornalista e scrittrice italo-marocchina.

RICONFERMATA LA FIDUCIA

Nel 2011, in un contesto regionale storico (in corso c’era la Primavera Araba), il Marocco ha riformato la Costituzione, dando più poteri al Parlamento. In questo modo, il governo del Pjd ha potuto godere in questi cinque anni di più libertà per amministrare. Con il voto delle elezioni legislative i marocchini hanno riconfermato la fiducia nel Pjd e hanno premiato la gestione di questo periodo.

Comunque il Pjd non ha la maggioranza per governare. In Marocco c’è un bipolarismo vero. Resta da capire ancora con quale partito il Pjd farà coalizione per formare un nuovo esecutivo.

LA FORZA DEL PREMIER

Moual spiega anche il peso del premier Abdelilah Benkirane: “Un personaggio carismatico, difficile da contrastare, con legittimità politica e un percorso di lotta. È percepito come il meno corruttibile tra i politici perché rappresenta il nuovo. È nella scena politica marocchina soltanto dal 1998”.

IL FLOOP DEI SOCIALISTI

Invece, l’opzione del Psu non è stata presa in considerazione. Come la sinistra internazionale. I socialisti marocchini hanno vinto soltanto due seggi. Secondo Moual, “il Psu era ‘la terza via’ per l’Occidente, non per i marocchini. È certamente un elemento di rottura.  Ma ha idee che rappresentano una minoranza in Marocco e di certo non è al centro del dibattito in Marocco. È sano che ci siano, sono sostenute da molti giovani. Le loro battaglie sono lodevoli, ma non rappresentano una priorità per gli elettori marocchini, almeno per ora. Quei due seggi devono fare riflettere su come si analizza la realtà politica di un Paese. Il Paese va guardato dal di dentro”.

IL SIGNIFICATO DELL’ASTENSIONE

La partecipazione elettorale è stata molto bassa. Soltanto il 45% degli elettori ha votato. Per Moual, questo indica che la società non è pienamente consapevole della macchina democratica: “Il marocchino monarchico crede ancora che è il re a decidere tutto. Ma comunque è importante che si sono svolte in totale trasparenza, come è stato accertato anche dagli osservatori internazionali”.

IL LABORATORIO MAROCCHINO

“Il processo democratico del Marocco è un’evoluzione – ha aggiunto la giornalista –. Ci vuole tempo e deve essere rispettato, mai semplificato. Per molti Paesi della regione è un laboratorio. Ci sono molte sfide sulla concezione dell’Islam, la democrazia, le politiche anti-radicalizzazione, l’economica. Il Marocco va tenuto sotto occhio”.

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