Non sempre la personalizzazione cresce con la tecnicizzazione della medicina, che è sempre più concentrata sull’azione del “curare (to cure) la malattia e sempre meno su quella del “prendersi cura” (to care) del mondo affettivo, relazionale, psicologico e spirituale del paziente. Questa nuova cultura ha creato le condizioni del venir meno, nella società italiana, del medico di famiglia, che, fino a qualche decennio fa, visitava al mattino presto i suoi pazienti.
La rigerarchizzazione di alcuni valori sociali induce la medicina ad anteporre l’efficienza, la produttività, la stabilità economica, la tecnica a valori come il limite, la sofferenza e l’accoglienza della fragilità. La cura degli anziani può essere presa come esempio: la visione meccanicistica e utilitaristica porta a considerare il “fattore età” come criterio discriminante per decidere se assistere o meno il paziente anziano con interventi costosi. La letteratura medica parla di “letalità della salute”, se la politica non predispone le condizioni per tutelarla.
Lo star bene, il ben-essere, il fitness (essere in forma) aggiungono elementi soggettivi che indicano un infinito poter essere che deve però fare i conti con i limiti imposti dal bilancio dell’Ordinamento. Curare la “salute sana” per prevenire la malattia ha un costo sociale e apre a molte domande etiche. È per questo che oggi assistiamo a una eccessiva medicalizzazione della salute.
Nel bilancio dello Stato, la voce “assistenza sanitaria” impegna molte risorse. Mario Melazzini, presidente dell’Aifa, è convinto che per liberare risorse sia urgente un piano industriale sanitario basato su princìpi di qualità, sicurezza ed efficacia. Attualmente i piani di rientro per il contenimento delle spese delle Regioni non presentano criteri chiari per garantire alle fasce a basso reddito la gratuità delle prestazioni sanitarie necessarie. La Costituzione, assicurando le cure gratuite agli “indigenti”, fa un discorso inclusivo.
Su questo punto, però, bisognerebbe capire se sia possibile pensare fasce di reddito che diano ai più poveri la possibilità di curarsi, fatta eccezione per i farmaci essenziali che difendono la vita. La sanità non può essere gestita come una società del mercato in cui tutto risponde alla domanda: “Quanto costa?”; deve invece ritrovare un approccio olistico alla cura. È l’esempio dei dirigenti sanitari, che hanno incentivi se tagliano le spese; oppure il cambio del nome del Ministero dalla sanità alla salute centrata più sulla tecnica che sulla cura. Sono questi i dilemmi etici da monitorare.
Il sistema sanitario italiano rimane all’avanguardia, perché, garantendo la cura a tutti, rimborsa il 75 per cento della spesa farmaceutica annua, che ammonta a 30 milioni di euro. Tutto questo perché la vocazione della sanità risponde a un’antica massima: “Una freccia può essere scagliata solo tirandola prima indietro. Quando la vita ti trascina indietro con le difficoltà, significa che ti sta per lanciare in qualcosa di grande. Concentrati e prendi la mira”.