I millennials, sono consumatori più informati (perché hanno potenti mezzi di comparazione), hanno stili di vita più ecologici (per tanto le economie non potranno più misurarsi sulla fabbrica dell’auto), hanno case di famiglia con alcune agiatezze, e la certezza di non riuscire a riprodurla nell’immediato futuro. E così senza veicoli, vincoli, e vicoli che li legano a una delle nostre città, partono con il primo volo low cost per un’altra meta in cui la sensazione di “freno a mano” tirato è meno opprimente.
Le statistiche bocciano Roma come la capitale bloccata.
Anche Milano vive stravolgimenti. Le fabbriche hanno lasciato i vani a centri commerciali. Le industrie del libro solo le uniche radicate o concentrate (scegliete voi) ancora qui. Non certo un settore dalle vivaci assunzioni negli ultimi anni.
Ricordo di essere entrata nel mondo del lavoro a fine 2008. Da tutte le parti mi consigliavano di andare all’estero. Lo consigliavano a tutta quella generazione. Solo una volta sono stata tentata di farlo: per me una proposta al MIT di Boston. Di questa cosa non ho mai parlato, quasi che se lo avessi fatto avrebbe trovato il modo di farsi spazio (tra le mie curiosità per il mondo) in me.
Perché parliamoci chiaro come cerco di fare sempre: io non potevo accettare l’idea che questo Paese non ci volesse. Ma soprattutto non potevo accettare l’idea di lasciare questo Paese a chi non sapeva cosa fare per farlo tornare attrattivo. Il punto non è certo andare a lavorare, osservare, collaborare a progetti internazionali.
Il punto è la non attrattività di “immigrati” da quei Paesi nei quaIi “IMMIGRIAMO”. Se reputiamo attrattivi dei Paesi e li arrichiamo anche con menti, forse italiane, lo scarto quadratico medio si misura nel rapporto ìmpari. Penso anche alla mobilità europea, Germania e fino a poco fa GB.
Così ho vagliato le opportunità che pure la mia laurea a pieni voti, nei tempi, in una giungla universitaria come quella in cui ero riuscita a sopravvivere, mi stava facendo avere nel nostro Paese.
Venivo da un Classico, un liceo che sembrava conoscere solo salotti buoni, lingue morte da tradurre con meticolosa attenzione (spesso più alle declinazioni che al significato, e all’impatto morale, tanto che superato il mito del latino e greco come esercizio “matematico”, nessuno ha sussulti vedendoli demolire dai nostri programmi e modelli culturali).
Queste questioni “morali” torneranno, credo, anche durante la tre giorni del Festival delle generazioni, a Firenze, il 13, 14, 15 ottobre, che quest’anno titola: “Oltre le frontiere. Generazioni e culture”.
Avrà un compito gravoso, l’opportunità di fare chiarezza su una generazione che a targhe alterne ha in mano le sorti del mondo. Verrebbe da dire: “concediti di ricoprire ruoli, di gestire poteri, (e che altro, denaro, ecc) ma per realizzare meglio il tuo obiettivo (salvare il mondo) generazione millennials”. Si confronteranno professionisti di tutte le generazioni, sociologi come Zygmunt Bauman.
Sergio Rizzo, Paola Saluzzi e io il 14 mattina faremo la Lettura dei giornali al Caffè Revoir in Piazza della Signoria, da punti di vista diversi, si prosegue con tavole rotonde e previsioni per il futuro. Grandi eventi anche serali con Serena Dandini, Beppe Severgnini e la maratona degli scrittori: presenti tutti i vincitori di quest’anno dei premi letterari, Strega, Viareggio e Campiello. Generazioni A, X, Z, Boomers, Millennials: culture a confronto.
Ma, mi piace #generazionifest non per una sfilata di personaggi ecc, come a un qualunque festival. Mi piace perché dietro c’è una organizzazione sociale, che potrà migliorare. Chi entra in dialogo oltre gli steccati anagrafici, di provenienza, di discipline, migliora.