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Che cosa nascondono le guerricciole fra Hillary Clinton e Donald Trump

A questo punto si potrebbe riassumere la campagna presidenziale americana sotto il titolo di un classico della letteratura italiana: il Decamerone. Che avrebbe concorrenza, certo, in numerosi romanzi francesi del Settecento, genere libertino, escluso per ora il Marchese de Sade. Oppure come una gara, una maratona: ogni giorno, ogni ora, forse ogni minuto arrivano nuove concorrenti.

Forse al titolo quasi olimpionico della donna più insidiata da Donald Trump oppure semplicemente al titolo con il nome su un giornale. Pare in questa corsa che il candidato, ancora teoricamente repubblicano, alla Casa Bianca non abbia fatto altro in vita sua che mettere le labbra su una fresca bocca femminile o le mani su altri settori dell’anatomia muliebre. Perché i ritorni della memoria si spingono fino a trenta o quaranta anni addietro, quando Donald non pensava proprio ad occuparsi di politica, organizzava piuttosto concorsi di bellezza e pareva incline a inaugurare i suoi nuovi alberghi, casinò e resort di lusso invitando e assaggiando giovani ospiti graziose e in qualche modo disponibili.

C’è chi conta queste ultime con più attenzione dei numeri dei sondaggi per la gara alla Casa Bianca. Sono i realisti che considerano la campagna elettorale come praticamente conclusa e la vittoria di Hillary Clinton assicurata. È vero che non si sa mai, che in America esiste un largo settore di opinione pubblica che si interessa ancora di più delle promesse politiche dei candidati che non delle ultime novità sui pettegolezzi. Che hanno già catalogato Donald Trump nel libretto dei Casanova più o meno fortunati, in una folta compagnia che comprende Gary Hart, Bill Clinton e John Kennedy per limitarsi ai più famosi. Il fenomeno è abbastanza diffuso fra i presidenti. Perfino Eisenhower (che però è riscattato nella memoria, oltre che per aver vinto la guerra mondiale, perché il suo musicista preferito era Bach) aveva un’amante mentre conduceva la guerra in Europa per far fuori Hitler.

Trump, naturalmente, continua a considerarsi in corsa per la Casa Bianca e a cercare di parlare di politica. I motivi non mancherebbero, ma l’attenzione del mondo politico e ancor peggio dei mass media è per il momento deragliata dal Pentagono o dalla Siria, nelle alcove. Il moderatore incaricato di dirigere fra qualche giorno il terzo e ultimo dibattito fra Donald e Hillary ha già preparato l’elenco delle domande, che in buona parte riguardano temi e interrogativi di attualità, talvolta bruciante. Nelle discussioni finora si è parlato incredibilmente poco, ad esempio, dell’economia la cui situazione, per quanto non disperata come assicurano i critici dell’amministrazione Obama, è però tutt’altro che tranquilla.

Barack è riuscito a mettere sotto controllo le conseguenze recessive del crac del 2008 immediatamente precedente la sua elezione, ma non a invertire la rotta, soprattutto per quanto riguarda il crescente declino economico del ceto medio, dovuto in buona parte alla globalizzazione ma anche alla robotizzazione, ai trattati di libero scambio soprattutto con la Cina, all’accelerata divaricazione dei redditi che vanno concentrando la ricchezza nelle mani del 10 per cento più ricco o addirittura in quell’1 per cento che è il bersaglio simbolico.

Un altro tema è meno antico e forse meno profondo ma rischia di diventare di bruciante attualità. È la estensione e degenerazione dei conflitti in Medio Oriente, in particolare in Siria, che stanno producendo una tensione fra Stati Uniti e Russia quale non si era vista da già prima della fine della Guerra Fredda. Washington e Mosca si scambiano proteste, avvertimenti che hanno a volte il suono e il sapore di un ultimatum. La battaglia attorno alla «sacca» di Aleppo provoca non solo il prolungamento delle sanzioni economiche e commerciali dell’Occidente alla Russia, ma inquietanti scambi di manovre militari in zone del globo ben lontane dalla Siria, per esempio nei Paesi Baltici e nel mare del Nord in genere.

I pericoli sono riconosciuti e denunciati da varie fonti e aumentati dalle previsioni diffuse secondo cui una ormai inevitabile presidenza di Hillary Clinton produrrebbe un ulteriore accrescimento delle tensioni con Mosca. Uno degli allarmati è il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Ma anche il vecchio Mikhail Gorbaciov, uscito per l’occasione da un lungo silenzio: «Il mondo è giunto a un punto pericoloso. È necessario fermarsi e riprendere il dialogo, la cui interruzione è stata un grande errore». Qualcuno lo aveva previsto, anche se solo in un verso di una canzone: «Fuori c’è una battaglia ed è arrabbiata». L’autore, Bob Dylan, è stato appena insignito di un premio Nobel. Preoccupazioni e critiche non possono non riguardare anche Obama, che è ancora presidente. E che pare rifugiarsi in un futuro meno immediato e più glorioso. Ha appena annunciato che entro il 2030 un uomo camminerà sul suolo di Marte.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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