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Perché il dibattito sul taglio agli stipendi dei parlamentari non mi appassiona

Di Giampiero Zurlo
Beppe Grillo e Luigi Di Maio

Gentile direttore,

il combinato disposto tra l’acceso dibattito sul Referendum Costituzionale del prossimo 4 dicembre e le recenti proposte di riduzione del compenso dei parlamentari – avanzate con diverse sfumature dal M5S e dal PD – ha riproposto con forza il tema del costo della politica e conseguentemente della qualità dei meccanismi democratici. Direbbe qualcuno: simul stabunt simul cadent.

Infatti, per quanto si possa far finta di non vederne la stretta interconnessione, è indubbio che il tema del costo della politica debba essere ricondotto entro il perimetro della qualità dei processi decisionali e del valore che si dà al concetto stesso di rappresentanza parlamentare. Sarebbe un grave errore considerarlo un mero “capitolo di spesa” liberamente soggetto a tagli privi di gravi conseguenze.

Vanno bene, anzi sono sacrosanti e necessari, il risparmio, la sobrietà e la revisione generale della spesa. Così come è indubbia la necessità di ridurre il numero dei parlamentari (è qui infatti che andrebbe ricercato il risparmio!). Va molto meno bene, invece, buttare la competenza e la capacità di decidere su dossier delicati e di grande complessità – che impattano sensibilmente sulla competitività di tutto il sistema Paese – insieme all’acqua sporca degli sprechi e delle inefficienze di un sistema politico farraginoso e a volte incapace di decidere.

In un sistema efficiente, sano e ben regolamentato, competenza e capacità si pagano. Abbattere invece in modo indiscriminato i compensi di chi siede tra i banchi di Montecitorio o di Palazzo Madama sarebbe utile, in ultima istanza, solo ad assecondare alcune, purtroppo comprensibili, pulsioni dell’opinione pubblica, a tutto svantaggio dell’idea che fare politica e ricoprire cariche istituzionali sia un ruolo gravoso, difficilissimo, riservato solo ai migliori.

Per giunta è proprio nei bassi stipendi di coloro che hanno accesso all’alto potere politico che si innestano i fenomeni di corruzione, concussione e conflitto di interesse di vario genere. Sempre più spesso si vedono rappresentanti delle istituzioni che in modo più o meno lecito tentano di “arrotondare” lo stipendio sfruttando il loro ruolo, il network politico, la conoscenza delle complesse dinamiche decisionali e finanche il loro accesso diretto ai palazzi. Sempre più spesso si assiste all’abdicazione da parte delle istituzioni della necessità di assumersi la responsabilità di decisioni importanti con l’unico obiettivo di onorare non solo il mandato democratico conferito dai cittadini, ma anche l’investimento economico che la comunità dei contribuenti ha deciso di sostenere, proprio con l’intento di impedire loro di ricercare altrove ulteriori vantaggi economici, quasi sempre a detrimento dell’interesse collettivo.

Attenti quindi a bollare questa come mera visione giustificatrice dell’attuale contesto politico e istituzionale perché si tratta di considerazioni che nascono quasi spontanee per chi ogni giorno si occupa con trasparenza di rappresentanza di interessi e del virtuoso trasferimento di informazioni tra il mondo economico-produttivo e i decisori politici, concorrendo attivamente alla vita democratica del Paese.

Peraltro in un sistema democratico sempre più dinamico, in cui il ruolo delle lobby professionali e trasparenti è sempre più ufficialmente riconosciuto e apprezzato, diventa fortissima l’esigenza di una politica che sia all’altezza delle parti. Tanto più attive sono le lobby nello svolgimento della loro funzione democratica di rappresentanza degli interessi legittimi, tanto più forte e qualificata deve essere la politica, che non può più permettersi di chiudersi su se stessa anzi ha la necessità di diventare di qualità migliore proprio per non farsi sopraffare, a tutela dell’interesse generale.

Quotidianamente, infatti, la politica è chiamata a confrontarsi con temi e argomenti sempre più complessi, caratterizzati da elevati livelli di tecnicismo che presuppongono tempo, impegno e delicata capacità di analisi.

Questa dinamica, costante, ineludibile, strettamente connessa ad ogni sistema democratico moderno ed evoluto, comporta che i giocatori in campo per entrambe le squadre siano i migliori. E come sempre, senza alcuna eccezione, i giocatori migliori devono essere ben pagati.

Di chi è la colpa di questo circolo vizioso?

Della stessa politica, debole e colpevole del proprio indebolimento, che non ha saputo difendere e migliorare se stessa di fronte alla nuove sfide globali, vittima della propria grave incapacità di generare credibilità nei confronti degli elettorati, ormai abituata a dare la colpa a qualcun altro (ultimamente va di moda accusare proprio le lobby!).

Tutto ciò è una grave minaccia al cuore del sistema democratico nazionale.

È dunque sufficiente uno stipendio “onorevole” per rispondere a questi problemi?

No, certo. E’ anche vero infatti che la qualità del corpo politico non dipende solo dalla retribuzione ad esso riservata ma anche da altri, e forse più importanti, fattori quali ad esempio i meccanismi di reclutamento e la relativa formazione anche di tipo culturale.

Un giusto livello di retribuzione deve quindi accompagnarsi a un repentino cambio di passo culturale, prima che sia troppo tardi e che la politica del nostro Paese prenda definitivamente la strada del declino.


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