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Dalle vongole al cacao, ecco come la Ue sbeffeggia il made in Italy

Ci sono voluti due anni di battaglia. Riunioni, proposte, contro proposte, missioni a Bruxelles e incarichi di studio, dossier scientifici. Ma alla fine gli spaghetti alle vongole made in Italy sono salvi. Domani la Commissione Europea darà ufficialmente ragione ai pescatori italiani: dal primo gennaio del 2017 le dimensioni minime delle vongole che si potranno pescare passeranno a 25 millimetri dai 22 attualmente previsti dal regolamento comunitario che aveva messo fuori gioco soprattutto le aziende nostrane che operano nell’Adriatico. Qui infatti le vongole, anche quelle perfettamente mature, raggiungono una dimensione massima di 22 millimetri di diametro, così per due anni non sono state raccolte e vendute perché non sono più legali per i tecnici europei.

A rischio non ci sono stati solo i menu a base di questo mollusco ma anche le esportazioni, che rappresentano quasi la metà della produzione nazionale, un settore quello ittico che impegna direttamente in Italia una flotta di circa 710 imprese e oltre 1600 addetti e con un indotto di altre 300 imprese di commercializzazione all’ingrosso e un altro migliaio di addetti.

Non è un caso che la notizia è stata accolta positivamente soprattutto dall’Emilia Romagna e del Veneto. Basta leggere la dichiarazione dell’assessore regionale all’agricoltura, Simona Caselli: “Come Emilia Romagna già all’inizio del 2015 siamo scesi in campo per chiedere regole meno restrittive sulla pesca delle vongole e abbiamo presentato insieme al ministero delle Politiche agricole una proposta che, prevedeva l’introduzione di una soglia di tolleranza del 5% rispetto alla misura di 25 millimetri prevista dal regolamento europeo. Tale proposta era supportata da studi scientifici che dimostrano come la capacità riproduttiva delle vongole sia garantita anche da misure molto inferiori ai 25 millimetri, misura che le vongole in Adriatico raggiungono assai difficilmente”.

E c’è voluta tutta la pazienza del nostro negoziatore in Europa, il sottosegretario all’Agricoltura, Giuseppe Castiglione per dimostrare “che la maturità biologica delle vongole si raggiunge già quando la loro taglia arriva a 22 mm”. Ma per un caso che si chiude in positivo, sono tanti ancora i dossier aperti dalla Ue dove il made in italy fatica a imporsi rispetto a regole che stridono a volte con il buon senso.

Come il caso delle mozzarelle che vengono prodotte con semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, o i formaggi prodotti con polvere di caseina al posto del latte. Senza dimenticare che in Europa sono in vendita imitazioni del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano senza alcuna indicazione della provenienza e con nomi di fantasia che ingannano i consumatori. Le importazioni dei cosiddetti “similgrana” in Italia sono raddoppiate negli ultimi dieci anni con gli arrivi, ha denunciato la Coldiretti, da Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia, Lettonia che hanno raggiunto un quantitativo stimato in 83 milioni di chili.

Ma non basta. Se si apre il dossier vini si scopre che la Commissione Europea consente ai paesi del Nord Europa di aumentare la gradazione del vino attraverso l’aggiunta di zucchero, cosa che ad esempio è sempre stata vietata in Italia per impedire il cosiddetto  “trucco di cantina”, anche perché il vino dovrebbe essere prodotto interamente dall’uva. Poca roba, si dirà rispetto al “vino in polvere” sempre ammesso dall’Unione Europea che permette la produzione grazie a polveri contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua. Si calcola che in Europa vengano consumate venti milioni di bottiglie all’anno con etichette di vini italiani ottenute in questo modo.

Dal vino poi all’olio. Sulle bottiglie ottenute da olive straniere in vendita nei supermercati è quasi impossibile avere trasparenza sul prodotto acquistato e leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari”. E tutto così diventa “made in Italy”.

Ma non basta. Se passiamo al capitolo carne, l’Unione Europea consente per alcune categorie la possibilità di non indicare l’aggiunta d’acqua fino al 5%. Ma per wurstel e mortadella tale indicazione può essere addirittura elusa, anche se il contenuto di acqua supera tale percentuale, secondo la nuova normativa comunitaria definita con il Regolamento 1169/2011.

E poi ancora il cioccolato senza cacao (l’Ue ha imposto all’Italia di aprire i propri mercati anche al cioccolato ottenuto con l’aggiunta di grassi vegetali diversi dal burro di cacao) o i succhi di frutta senza frutta ma che grazie agli edulcoranti hanno un vago sapore di arancia. La casistica è piena di questi casi anomali.

Oggi le vongole sono salve, ma la strada del made in Italy, con battaglie storiche come le indicazioni geografiche o l’obbligo dell’etichettatura d’origine dei prodotti, appare davvero tutta in salita.

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