La nuova guerra fredda è cominciata? Una guerra fredda 2.0 come si usa dire e questa volta a ragion veduta visto che si combatte a colpi di battaglie cibernetiche. Gli analisti si dividono sulla interpretazione da dare allo scambio di accuse e ritorsioni tra Mosca e Washington. In molte zone del mondo, sono le armi più tradizionali a farla da padrone: i carri armati in Crimea e in Ucraina, gli aerei da bombardamento in Siria, i mezzi leggeri da guerriglia in Libia e via via guerreggiando. Sulla rete internet viaggiano armi logico-matematiche, altrettanto letali. I russi le hanno sperimentate in Georgia e in Ucraina. E hanno colpito gli Stati Uniti con Wikileaks. Gli americani hanno sviluppato i loro centri di ascolto e manipolazione dei dati. Il grande orecchio a stelle e strisce si contrappone alle tecniche da Kgb adattate alla nuova era. Un conflitto strisciante venuto ormai chiaramente in superficie.
In Italia prevale una opinione pubblica (alimentata da molte forze politiche di destra e di sinistra) filo Putin (non filo russa, attenzione, quest’ultima sarebbe non solo comprensibile, ma apprezzabile). Eppure, che abbia cominciato proprio il nuovo zar (come vorrebbe diventare) c’è poco da dubitare. Che Usa ed Europa siano stati incapaci di reagire anche questo è senza discussione. Che la Cina potrebbe emergere come la potenza decisiva in questo nuovo disordine mondiale, allo stato attuale prevedibile.
Su tutto aleggia un neo-nazionalismo che è già diventato ideologia e va contro la tendenza di lungo periodo affermatasi nel secondo dopoguerra, un’epoca neo-imperiale fino al 1989 e globale fino a ieri. E’ questo il nuovo collante che tiene insieme Putin e Trump, Marine Le Pen e Viktor Orban. Lo stesso populismo del quale molto si discute può essere visto come una variante del ritorno delle nazioni anche perché si sposa ovunque con una richiesta di sovranità legata a identità locali se non proprio etniche.
Sul fronte domestico, Putin ha avuto il merito di ridare alla Russia la dignità perduta e una certa ripresa economica (almeno nella prima fase del suo lungo dominio). Ha utilizzato questa rinascita come rivincita, non esitando a riesumare il fantasma di Stalin, l’alleanza ferrea con la chiesa ortodossa, la vittoria nella “grande guerra patriottica” e la logica di potenza, un “destino nazionale” che mette in ombra l’arcipelago Gulag. Chi è vissuto o vive ancora nella Russia putiniana conosce bene questo revival stalinian-nazionalista e le sue conseguenze in termini di libertà e sicurezza personale. Può darsi che le ultime manovre da guerra guerreggiata raccontate dal Corriere della Sera (con tanto di razionamento del pane), siano frutto di un equivoco e siano solo esercitazioni anti tragedie naturali, come hanno detto le autorità, ma è molto probabile che quest’ultima sia solo la vecchia, cara disinformatia di staliniana memoria.
Sul fronte esterno, Putin non ha nascosto la sua strategia e i suoi obiettivi fin dal primo incontro con Barack Obama nel 2009 a Camp David. Aveva già scaldato i muscoli, ma quello è stato il momento della verità: la Russia va difesa da un anello di stati-cuscinetto, guidati da governi amici, dai quali l’Alleanza atlantica deva restare lontana (anche l’Unione europea nel caso dell’Ucraina). Una nuova versione della sovranità limitata praticata da Breznev. Obama non ha reagito, era distratto dalla crisi economica e da priorità domestiche. Mentre stava franando il mondo arabo e l’Isis muoveva il suo passo dell’oca.
L’Europa si è divisa, impaurita perché aveva maturato una dipendenza eccessiva, irresponsabile, dal gas russo. Lo dimostra l’atteggiamento della Germania e dell’Italia di fronte alle sanzioni. Intanto, Mosca sfruttava le primavere arabe e il collasso dei regimi social-nazionalisti per tornare in forze (anche armate) nel Medio Oriente e in Nord Africa rinsaldando l’alleanza con l’Egitto di Sisi e sostenendo Assad in Siria. Persino con la storica nemica, la Turchia, Putin ha giocato come il gatto con il topo, prima arrivando sull’orlo di una guerra, poi abbracciando Erdogan dopo il goffo e ancor oggi misterioso golpe di Istanbul.
Che fare a questo punto? Molti Paesi europei sarebbero pronti a giocare la carta dell’appeasement, ma sono troppo deboli e dipendenti. La Cina è seriamente seccata da una tensione che certo non l’avvantaggia. Il recente nuovo accordo tra Russia e India, con la calda stretta di mano tra Putin e Modi, certo non tranquillizza Pechino che a questo punto si prepara a giocare su più fronti. L’Unione europea, se avesse una politica estera e di sicurezza comune, potrebbe trovare una sponda cinese per impedire che Usa e Russia varchino il punto di non ritorno. Ma la stessa Ue è divisa da interessi contrastanti e la guerra fredda 2.0 è destinata ad allontanare ancor più l’est anti-russo. Putin, altro che l’euro, può diventare la mina che fa saltare l’Unione cancellando ogni (velleitaria) terza via e riproponendo la vecchia scelta tra l’Atlantico e gli Urali.
Stefano Cingolani