Skip to main content

Voluntary bis, ecco pregi e difetti

La voluntary disclosure bis è ricalcata sulla prima edizione del rientro dei capitali, quella che garantì all’erario un gettito di circa 4 miliardi di euro. La modifica più importante, apportata su suggerimento dell’Agenzia delle entrate, è stata quella di scaricare sulle spalle dei contribuenti i complessi calcoli necessari per la determinazione del debito tributario. A conferma che quando si parla di compliance in Italia (ormai una vera e propria parola d’ordine, in materia fiscale) ci si riferisce solo e sempre all’adempimento spontaneo dei doveri del contribuente. La compliance del fisco non è prevista.

In pratica i contribuenti che vorranno regolarizzare i propri patrimoni dovranno fornire all’Agenzia delle entrate non solo tutta la documentazione necessaria (questo era previsto anche nella prima versione della voluntary) ma dovranno preoccuparsi anche di fare tutti i calcoli, affrontando spesso dei veri e propri enigmi interpretativi, per determinare e quindi versare imposte, sanzioni e interessi. Un adempimento che nella voluntary 1.0 era a carico degli uffici dell’Agenzia delle entrate. Non solo. Per evitare che i contribuenti e i professionisti che li assistono, giochino al ribasso, risolvendo ogni punto critico in senso favorevole al contribuente, si prevede che, in caso di versamento spontaneo delle imposte per difetto in misura superiore al 30 per cento (la casistica è più complessa, ma in linea di massima siamo su questi livelli), si pretenderanno somme maggiorate del 10 per cento.

Quindi, non solo il contribuente deve farsi tutti i calcoli (e solo chi non si è mai cimentato in un’impresa simile può pensare che si tratti di un percorso automatico, che non richiede valutazioni spesso opinabili) e versare le relative somme, ma si troverà con una spada di Damocle che, per ragioni imprevedibili, potrebbe costringerlo negli anni successivi a versare un’integrazione su richiesta unilaterale dell’Agenzia delle entrate. A pensar male si potrebbe temere che, se il fisco tra un paio d’anni avrà bisogno di soldi, li chiederà alla maggior parte di coloro che hanno aderito alla voluntary bis (come peraltro ha fatto con coloro che avevano aderito allo scudo fiscale di Tremonti). In nome della compliance.

(Articolo pubblicato su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)


×

Iscriviti alla newsletter