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Perché The Young Pope di Paolo Sorrentino non mi ha convinto

Paolo Sorrentino è uno dei due grandi registi italiani (l’altro è Peppuccio Tornatore). In questi giorni è uscito su Sky “The young pope”, dieci puntate di un’ora dedicate a un ipotetico Pio XIII e alle sue avventure nei sacri palazzi. Un serial molto scenografico, nel quale Roma e il Vaticano con le loro bellezze artistiche e architettoniche la fanno da protagonisti. Dov’è proprio debole la storia è nella rappresentazione dell’umanità curiale: un’idea rozza e poco raffinata (l’avevamo già constatato ne “Il divo”, sua opera del 2008 dedicata ad Andreotti), banalmente radicale di un mondo che, invece, è raffinato e doppio e triplo. Nel quale nessuno è al posto che sembra riservatogli e i discorsi sono sempre estremamente allusivi.

La visione di Sorrentino, insomma, è di quelle che si possono ascoltare ai tavoli della trattoria Da Carmine, in via dei Tribunali, a Napoli. Per motivi familiari, ho avuto la fortuna di frequentare e, addirittura, di vivere in Vaticano negli anni della giovinezza matura. E ho osservato con occhio attento e critico. Il mio congiunto era molto vicino e Pio XII e a mons. Montini, poi papa Paolo VI. La società vaticana ha regole non scritte, riti non codificati, verità taciute. Ma tutto è in chiaroscuro e nessun cardinale affronterebbe il papa (come fa il monumentale Silvio Orlando) quasi sfidandolo sul piano della sua opera pastorale. Avrebbe avuto bisogno come il pane, Paolo Sorrentino, di un informatore interno, collocato ai livelli giusti. Gli avrebbe, però, tolto il piacere tutto provinciale di épater le bourgeois, sbalordire il borghese, soprattutto americano. Quindi, va bene così: gli bastava e gli è bastato compiere una ennesima operazione di artistico sputtanamento di una istituzione che, bene o male, a dispetto di papa Alessandro VI (Borgia) e di Bonifacio VIII, sopravvive da oltre venti secoli.

(Articolo pubblicato su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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