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Cosa farà Donald Trump con l’Iran

Iran, Rohani

L’Iran Deal potrebbe collassare sotto i colpi dell’amministrazione Trump, titola il Washington Post. È l’end game per l’accordo sul nucleare tra il governo di Teheran e la comunità internazionale, spiega Richard Nephew, uno degli esperti del team americano che ha negoziato l’intesa. E in effetti in campagna elettorale Donald Trump, parlando di fronte alla più importante lobby ebraica degli Stati Uniti, l’Aipac (American Israel Public Affairs Committee), aveva dichiarato: “La mia priorità numero uno sarà quella di smantellare il disastroso accordo con l’Iran”. Aveva poi aggiunto di voler negoziare un’intesa migliore, nonché di voler rafforzare le sanzioni americane contro Teheran (attualmente previste per il sostegno degli ayatollah al terrorismo). Del resto, un uomo d’affari che ha fatto del deal un’arte – Trump: The Art of the Deal è il titolo della sua autobiografia, pubblicata nel 1987 – poteva agevolmente presentarsi come un ri-negoziatore.

Il Trump presidente darà seguito alle dichiarazioni del Trump candidato? Alex Vatanka, iranologo del Middle East Institute, sostiene che non è da escludere, e che molto si capirà dagli uomini che The Donald sceglierà per il suo team di politica estera: “La nuova amministrazione americana potrebbe realmente far collassare l’Iran Deal. Alcune persone nell’inner cicle del neo-presidente, che hanno il potenziale di diventare voci chiave del prossimo governo, sono dei falchi quando di parla di Iran. Vogliono cancellare il Deal o rinegoziarlo. Comunque, non sarà un passo facile per gli Stati Uniti. Si tratta di un’intesa internazionale e, se fosse Washington a sfilarsi dall’accordo, probabilmente gli altri contraenti si schiererebbero con l’Iran. A meno che l’Aiea (l’Organizzazione Internazionale per l’Energia Atomica, ndr.) non riscontrerà una violazione del Deal, gli europei non torneranno all’era delle sanzioni. E neppure Russia e Cina lo faranno”.

Proprio con questi argomenti – non è un’intesa bilaterale, ma internazionale – il presidente iraniano Rohani ha continuato a difendere l’Iran Deal anche dopo l’elezione di Trump, confermando, assieme al ministro degli Esteri Zarif, la volontà di mantenere gli impegni presi. Il prossimo anno, però, a Teheran si vota per le elezioni presidenziali e gli Stati Uniti potrebbe essere un fattore decisivo della campagna. La vittoria del candidato repubblicano è stata accolta diversamente dalle varie fazioni iraniane. I moderati hanno reagito con un misto di paura e rassegnazione. Gli hardliner, gli estremisti, non hanno nascosto il loro entusiasmo. Del resto, prima del voto lo stesso ayatollah Khamenei aveva dichiarato di apprezzare Trump per la sua sincerità (la narrazione trumpiana di un’America povera, in declino e irrilevante, nonché il razzismo di alcune sue uscite sono funzionali al “Death to America!” dei chierici iraniani). Secondo l’analista del MEI l’impatto degli Stati Uniti sulla politica interna di Teheran “dipenderà dal punto fino al quale si spingerà Trump nel cercare di tornare alla fase precedente all’accordo, e quindi all’isolamento dell’Iran. Se dovesse avere successo – e questo è un grande se – allora l’economia iraniana si troverà nuovamente avvolta in una spirale negativa, e quindi gli hardliner useranno questo argomento contro il presidente Rohani”.

Un Trump muscolare, quindi, spinto da personaggi come Rudolph Giuliani, favorirebbe i falchi anche in Iran. Ma c’è l’ipotesi di un Trump diverso, più pragmatico, più in linea con la sua biografia da uomo d’affari. Non bisogna dimenticare che, durante una campagna elettorale in cui ha cambiato spesso posizione, “Zelig” Trump ha criticato le sanzioni ancora in piedi contro l’Iran, che impediscono, o comunque rendono difficile, alle aziende americane fare affari nella repubblica islamica. “Questa”, prosegue l’iranologo, “è una speranza piuttosto diffusa a Teheran. In Iran Trump era stato ribattezzato ‘The Merchant’. L’auspicio è che possa essere incentivato dalla possibilità, per gli Stati Uniti, di fare accordi commerciali, concentrandosi più su questi aspetti che sulle differenze ideologiche e storiche tra i due Paesi”.

Inoltre, c’è una questione su cui le idee dell’amministrazione Trump e gli interessi iraniani potrebbero convergere. Si tratta della Siria. Il candidato repubblicano aveva definito Assad, sostenuto militarmente ed economicamente da Teheran, il male minore e aveva criticato la tradizionale politica americana a favore dell’Arabia Saudita. Conclude Vatanka: “Durante il secondo dibattito presidenziale con Hillary, Trump aveva detto che la Russia, la Siria e l’Iran stavano combattendo l’Isis, e che la lotta all’Isis era la priorità. Quindi se Trump deciderà di lavorare assieme ai russi nell’ambito della crisi siriana, si troverà, di conseguenza, ad avere l’Iran come partner”.


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