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Chi vince e chi perde nelle borse mondiali con Trump alla Casa Bianca

Diversi anni fa, uno dei broker più in gamba tra quelli con cui mi è capitato di interloquire (infatti ha lasciato il business all’apice e ora si occupa d’altro, con grande successo) quando sottolineavo l’incoerenza di alcune sue idee con quanto suggeritomi da lui appena pochi giorni prima, non accennava nemmeno a giustificarsi, ma dichiarava “Mi pagano per cambiare idea”.
Aveva ragione. In finanza raramente l’estrema coerenza paga. Bisogna essere rapidi ad assimilare le nuove informazioni, ed evitare di immolarsi su posizioni che non funzionano.

È indubbio come la price action delle ultime ore abbia costretto parecchi operatori a riconsiderare l’impatto della presidenza di Trump (col particolare del controllo del Congresso da parte dei Repubblicani) su economia e mercato. Dopo aver sperato per mesi che le autorità globali mettessero mano alla leva fiscale, raccogliendo il testimone dalle ormai esauste banche centrali, ecco che abbiamo snobbato il primo passo (quanto serio, vedremo) in questa direzione da parte della prima economia globale, soffermandoci troppo sugli aspetti negativi di Trump alla Casa Bianca.

Detto questo, nemmeno farsi trascinare in giro dai mercati e dal sentiment è particolarmente pagante. Dopo una prima fase di disperata rincorsa agli asset, gli investitori sembrano aver ripreso il controllo dei loro istinti, e sono diventati più selettivi e riflessivi.

Naturalmente l’Asia ha avuto la sua fase euforica stanotte, visto che ieri la giostra era partita dopo la chiusura dei principali mercati. Tokyo ha recuperato con gli interessi quanto lasciato sul campo ieri, forte dell’inversione di tendenza sul cambio. Sull’azionario giapponese sta facendosi strada un ipotesi affascinante: e se la fiammata sui tassi di interesse globali causata dall’impatto sui treasuries riportasse a zero il rendimento dei bonds decennali giapponesi (attualmente -0.05%)? L’annunciata difesa del livello da parte della BOJ sulla base dello Yield targeting si tradurrebbe in un aumento del QE, con connesso effetto stimolativo, e svalutazione della divisa.
La sola idea ha indebolito ulteriormente la divisa giapponese, col risultato che i futures sul Nikkei son tornati sui massimi di periodo. Meno arzilli ma comunque positivi gli altri mercati, molti dei quali appartengono alla categoria emergente.

L’apertura europea è stata caratterizzata da una ripresa del panic buying della coda della seduta di ieri. A guidare il movimento, come di recente, le banche, favorite, oltre che dal rimbalzo delle attese di crescita, dal mostruoso irripidimento delle curve dei tassi.

Già perche il massacro sui bond è ripreso imperterrito da ieri, con i rendimenti in salita più o meno ovunque senza troppe distinzioni di emittente (sebbene la periferia oggi abbia sottoperformato la carta core, quella tedesca in particolare).
L’epicentro del sisma sui tassi restano gli USA, dove i fattori per un rialzo dei rendimenti si moltiplicano: il piano di Trump mira a maggiore spesa fiscale, con conseguenze ovvie per crescita, inflazione (visto che siamo quasi a piena occupazione), emissioni di bonds, stato delle finanze pubbliche. E poi c’è la parte “protezionistica”, che necessariamente ha un impatto sui prezzi. Certo il movimento è stato davvero forte, col 10 anny treasury ben oltre il 2%. Normale che i bonds europei ne venissero influenzati. E anche le divise, col $ in recupero contro tutto tranne la sterlina. Sulla divisa unica hanno pesato in questi giorni anche le numerose dichiarazioni di altrettanti membri ECB (Novotny e Coeure tra gli altri), tutte incentrate sul fatto che la Banca Centrale farà di tutto per mantenere accomodanti le condizioni monetarie dell’Eurozona. Si è trattato quasi sicuramente un piano di retorica concertato per contenere gli effetti della sorpresa Trump (ci son cascati anche loro!).

Non che il macro sia al centro della scena in questa fase. Ma dopo quella tedesca uscita martedi, anche le produzioni industriali italiana e francese di settembre sono andate in contrazione, la seconda ben più delle attese.
Ancora meno interesse per i pochi dati macro US. D’altronde, con l’avvento di Trump qualunque dato è considerato “old news”.

Nel pomeriggio l’apertura di Wall Street ha coinciso con un picco del sentiment, e poi è iniziata una correzione, guidata da settori e aree che meno hanno da guadagnare dalle novità politiche US.
Gli emergenti, che stamattina si erano riportati quasi in ai livelli di 2 giorni fa, sono stati oggetto di un ondata di vendite, con il future sull’indice MSCI emerging che al momento naviga sui livelli della fase di panico nella notte di martedi, lasciando sul terreno il 3%.
D’altronde ci vuole un bello sforzo di immaginazione per vedere vantaggi (in particolare per Messico e Latam) dall’elezione di Trump. Gli incentivi a rimpatriare la produzione e utili leveranno lavoro, il protezionismo impatterà sulle esportazioni, il rialzo dei rendimenti inasprirà le loro condizioni monetarie e rafforzerà il dollaro contro le loro divise. In cambio avranno solo, eventualmente, un America che cresce di più.
Altra vittima della correzione pomeridiana, il Nasdaq, bersagliato nei suoi campioni, i famosi FANG (Facebook, Amazon, Netflix, Google), nella convinzione che l’impatto di Trump sul global trade ne metta in crisi i guadagni all’estero (o almeno questa è una delle teorie che circolano). A parte ciò, i settori “bond like” come utilities, real estate, e altri vittime della selvaggia rotazione settoriale come il Food.

Il cambio d’aria ha imposto all’Europa una chiusura moderatamente negativa che sembrava assai improbabile stamattina. Scarsissimo per contro il rimbalzo dei bonds, mentre l’€ cede qualcosa, in linea col modesto avanzamento del Dollar Index.

Prima di ridare un occhio al quadro tecnico, conviene far calmare il polverone e assestare i mercati.
Nel frattempo, osservo che la nuova lettura della presidenza Trump da parte dei mercati, quella di un Keynesiano aggressivo che, con il Congresso dalla sua, potrebbe riuscire dove altri hanno fallito, ha sicuramente merito.
Ma, ammettendo che questo sia effettivamente il principale volto di Trump, non bisogna sottovalutare gli ostacoli politici ed economici nel realizzare questo piano e i second round effects su politica monetaria e currency. E poi ci sono i risvolti negativi di alcuni altri suoi progetti su immigrazione, global trade, politica estera etc. Il tutto impregnato dell’incertezza sulla sua capacità di realizzare i suoi intenti (ricordo un altro imprenditore che si scontrò con le difficoltà di gestire uno stato come un’azienda).

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