Skip to main content

Cosa succederà fra Cina e Usa nell’era Trump

“Reciproco rispetto”. La prima telefonata tra Donald Trump e Xi Jinping si è conclusa con la formula diplomatica più classica. Le due superpotenze si studiano a distanza in attesa del primo incontro ufficiale che comunque non avverrà prima dell’insediamento del nuovo presidente americano, previsto il prossimo 20 gennaio. Ma quello che appare evidente è che si è davanti a una svolta, che vedrà la Cina ancora una volta protagonista del destino dell’economia a stelle e strisce.

Sembrano lontani i tempi in cui il neo presidente degli Stati Uniti accusava Pechino “di stuprare” con la sua politica commerciale l’economia americana, manipolando la sua moneta per rendere le sue esportazioni più competitive.

Adesso ad aprire spiragli su una nuova fase di relazioni è stato James Woolsey, consigliere del presidente eletto per la politica estera che, intervistato dal South China Morning Post, ha prefigurato un tacito accordo tra le due potenze che consenta alla Repubblica Popolare di crescere ancora, in cambio del mantenimento della pax americana.

Una pace che conviene a tutti, a cominciare da Pechino. Perché di certo l’amministrazione Obama, soprattutto nella sua ultima fase aveva intrapreso, come più volte sottolineato da Formiche.net, una vera e propria guerra commerciale con dazi anti dumping a difesa dell’acciaio, del grano, del mais e del riso, ma anche del pollo e delle lavatrici. Ben 12 misure, adottate in pochi mesi, che avevano congelato i rapporti tra le due superpotenze. Per non parlare poi del Tpp, il Trattato di libero scambio con cui gli Stati Uniti hanno cercato un’intesa commerciale con 11 paesi dell’area asiatica, escludendo però proprio la Cina dai negoziati (qui l’articolo di Formiche.net).

Ma è proprio il Wall Street Journal in un’analisi dettagliata a paventare un accordo necessario tra i due attori, perché un’eventuale guerra commerciale farebbe feriti da tutte le parti: la Cina vedrebbe penalizzate non solo le proprie esportazioni ma anche i tentativi di fusioni e acquisizioni che sta compiendo in terra americana; gli Usa rischierebbero in diversi settori strategici come l’aerospaziale (Boeing vende anche a compagnie aeree cinesi), l’automobilistico (Chrysler e Ford potrebbero vedersi erodere quote in Cina rispetto a tedeschi e giapponesi), l’agricoltura (che ha nella Cina un mercato immenso).

Anche per questo i cinesi dopo una prima reazione negativa all’elezione di Mr Trump hanno cominciato a cambiare registro e i media, a cominciare dal Quotidiano del Popolo, l’organo ufficiale del partito comunista, hanno sottolineato come è necessario “ridare forma alle relazioni sino-americane”. Un concetto che è stato ribadito all’agenzia di stampa governativa Xinhua dal portavoce del ministro degli Affari esteri, Geng Shuang, che ha sottolineato come la cooperazione industriale può portare benefici ad entrambi i paesi a partire ad esempio dal piano per le infrastrutture annunciato da Trump che prevede la costruzione di autostrade, ponti, tunnel, aeroporti, scuole e ospedali. E non solo il governo cinese starebbe spingendo affinché gli Stati Uniti possano aderire alla Banca asiatica di investimenti per le infrastrutture. O, meglio ancora, Pechino vedrebbe bene l’ingresso di Washington nell’area di libero scambio che è stata promossa proprio dal presidente Xi Jinping e che mette insieme i paesi del Sud est asiatico dell’area Asean, India, Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda: 3 miliardi di persone su cui Cina e Usa potrebbero far valere la loro leadership.

Cosa accadrà, dunque? Davvero Donald Trump rinuncerà a quanto detto e ripetuto in campagna elettorale, compresa la tassa all’import fino al 45 per cento dei prodotti cinesi venduti nel territorio americano? Tassa che, come ha scritto l’editorialista Andrew Browne del Wall Street Journal, finirebbe per essere un boomerang proprio per quella middle class americana che vive grazie ai prodotti cinesi. Oppure prevarrà la realpolitik che vuole comunque i cinesi essere i principali detentori del debito pubblico americano, oltre 1.200 miliardi di dollari (qui l’articolo di Formiche.net)?

Senza dimenticare che solo questo anno le società del dragone hanno fatto acquisizioni di aziende americane per oltre 70 miliardi di dollari, anche in settori strategici quello dell’alluminio, con Zhongwang che si è comprata Cleveland Aleris, o il gruppo Wanda, colosso dei media, che ha investito miliardi su Hollywood, rilevando Amc Theatres, la società di produzione Legendary Entertainment e ora la Dick Clark Productions che produce diversi eventi mediatici, come la cerimonia dei Golden Globes, gli American Music Awards, Miss America e il conto alla rovescia della notte di Capodanno a Times Square a New York. Insomma, quando scatterà il countdown per il 2017 Donald Trump dovrà ricordarsi che i cinesi sono ovunque in America. Controllano perfino i secondi che separano il vecchio dal nuovo anno. Sarebbe bene, forse, non dimenticarlo.


×

Iscriviti alla newsletter