Questa settimana si vota negli Stati Uniti non solo per il Presidente, ma anche per un terzo del Senato, per l’intera Camera dei rappresentanti e per tante altre carico a livello dei singoli Stati dell’Unione e anche delle Contee.
In Europa, e nel resto del mondo, l’attenzione è sulla sfida per diventare inquilini della Casa Bianca. La sfida è serrata e non è detto che il 9 novembre si sappia chi è il vincitore. Ho vissuto a Washington oltre tre lustri; il sistema elettorale Usa è estremamente complicato. Non è improbabile che come nel 2000 anche dopo il voto non si sappia chi ha vinto e dopo nuovi conteggi, e accuse reciproche di avere barato, sarà la magistratura ad assegnare le chiavi della Casa Bianca. Sarebbe una pessima prova di una democrazia lontana da quella analizzata da Tocqueville.
L’Europa commette un errore nel porre l’accento sul risultato delle elezioni del presidente, quasi ignorando il resto. In un sistema bicamerale solo formalmente paritario come quello americano, il Senato ha lo scettro in materia di politica estera, mentre la Camera in quella di finanza pubblica. E’ altamente probabile che quale che sia il vincitore della tenzone per la Casa Bianca, una delle due Camera e forse ambedue abbiamo una maggioranza repubblicana. L’attenzione nei confronti dell’Europa e dell’Italia , quindi, dipende da molteplici determinanti che vanno ben oltre chi sarà il prossimo inquilino delle Casa Bianca. Anche nell’eventualità della vittoria di Hillary Clinton (considerata – chi sa perché – “eurofila”), il Congresso può mettere blocchi tali da frenare qualsiasi azioni, specialmente azioni a favore o contro un Paese o un governo specifico.
Ho ancora molti amici in America e leggo come primo giornale la mattina The International New York Times in versione cartacea. Prima del britannico The Economist, leggo il settimanale americano The Nation anche questo in versione cartacea. The International New York Times può essere considerato “liberal”. The Nation è decisamente “conservatore”.
La mia impressione è che gli Stati Uniti dopo avere vagheggiato, negli anni sessanta, un’Atlantic Community Partnership, di cui l’Europa in via di integrazione sarebbe stata uno dei due pilastri, adesso vedono il continente vecchio ed in via di spappolamento. Uno spappolamento dove domina la “vetocrazia”, la minaccia del potere di veto. Ne ha fatto uno la minuta Vallonia, ma ha fatto marcia indietro. Lo ha minacciato il presidente del Consiglio italiano ma si è taciuto appena gli hanno spiegato che il bilancio della Commissione europea viene votato a maggioranza e può essere bloccato solo se votano contro 16 Stati con una popolazione pari al 65 per cento di quella totale dell’Ue. Un alto funzionario del dipartimento di Stato mi ha detto che quale siano il nuovo presidente e il colore del nuovo Congresso, non vorranno entrare in liti tra vecchie zitelle rancorose.
Quindi, guardando al nostro referendum di dicembre, chi conta sull’amico americano si illude.