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Vi racconto il comizio finale di Donald Trump

Trump

Donald Trump torna sul luogo del delitto: il New Hampshire è lo stato della sua prima vittoria alle primarie repubblicane, che l’ha lanciato clamorosamente verso la candidatura alla Casa Bianca. Lo fa, coerentemente col personaggio, in grande stile. L’atmosfera che circonda la Southern New Hampshire University Arena ricorda più un grande concerto di una rockstar, che una campagna presidenziale. L’atmosfera è elettrica, l’attesa spasmodica. L’arena è una bomboniera, coi quindicimila sostenitori di The Donald raccolti in un tripudio di cartelloni, bandiere, stelle e strisce. I cori contro “la delinquente” e “bugiarda” Hillary non si contano, facendo da grancassa a tutto l’evento. È un’America arrabbiata, delusa, sfortunata quella che ha eletto Trump a suo eroe, e non è difficile accorgersene guardando l’arena gremita in ogni suo angolo.

Moltissimi sono anche i sostenitori all’esterno, col numero finale consegnato alle cronache che si arricchisce di ulteriori, migliaia di persone e la sicurezza costretta agli straordinari. Trump è anticipato da Mike Pence, suo candidato alla vice presidenza, che arringa la folla con la sua consueta dose di pragmatismo, rassicurante conservatorismo e abilità oratoria. Sono in molti, tra gli analisti, a sostenere come Pence si sia in realtà candidato in questi mesi alla presidenza del 2020. Non sono stati pochi i momenti, difatti, in cui si è dissociato dai toni debordanti del suo candidato presidente, provocando un ulteriore elemento destabilizzante a una campagna assurda, ma che a poche ore dalla chiusura del voto potrebbe risultare clamorosamente efficace. Questa volta l’esaltazione di Trump da parte di Pence è totale, quanto utile a tenere caldo il pubblico in attesa del boato finale. Pence è seguito da Rudolph Giuliani, l’ultra conservatore ex sindaco di New York e primo vero e pesante endorsement della campagna di Trump.

E The Donald arriva, con la folla in delirio. Cravatta blu, cappellino d’ordinanza con lo slogan “Make America Great Again” e pollice all’insù. Ha tutta la famiglia al seguito, che lo circonda sul palco. Il boato ricorda la coppa del mondo. “Domani chi è stato dimenticato, chi soffre ogni giorno, chi ha uno stipendio che non vale più nulla, tornerà a vincere!” L’esordio che scatena i presenti è studiato, e lascia intuire da subito i temi che accompagneranno il discorso e che hanno trascinato la sua campagna elettorale.

Negli Stati Uniti, del resto, le disuguaglianze non sono mai state così nette. La presenza quasi incontrollata di tanti immigrati clandestini, unita al libero scambio con paesi in cui la manodopera non costa nulla, ha sfiancato gli stipendi della classe media e di quella più povera, composta da operai e impiegati di basso livello. Questo cocktail, unito alla sempre più ridotta leadership a stelle e strisce in politica estera ed economica, ha creato un forte rancore sociale consegnando a Trump lo zoccolo duro del suo elettorato. In perfetto stile berlusconiano cita gli ultimi sondaggi, urlando alla folla che “abbiamo superato Hillary ovunque” e “il New Hampshire sarà il primo stato che ci accompagnerà alla vittoria!”.

Ed è proprio vero, che i primi risultati consegnati a milioni di elettori davanti alla loro tazza di caffè provengano proprio dal New Hampshire: per uno strano e curioso sistema, sin dai tempi di Nixon è la cittadina di Hart’s Location a chiudere per prima le operazioni di voto. Per tradizione, i suoi pochissimi elettori si ritrovano a mezzanotte per chiudere i seggi e auto eleggersi come gli elettori politicamente più influenti del paese: anche quest’anno è andata allo stesso modo. Per la cronaca ha vinto la Clinton, strappando 17 preferenze contro le 14 di Trump, mentre nella contea che racchiude ben 3 paesi e 66 elettori ha vinto il Tycoon con 34 voti contro i 25 di Hillary, in uno specchio della contesa elettorale locale e nazionale che si deciderà sul filo di lana. Oggi il New Hampshire è uno degli stati considerati più in bilico, nonostante due settimane Hillary fosse considerata ben oltre cinque punti avanti in tutti i sondaggi e i delegati in cassaforte.

Il comizio come da copione continua come un tripudio di attacchi all’establishment e alla politica tradizionale: “Il vero cambiamento si apre solo col ritorno all’onestà”, sostiene in uno sfrenato grillismo inconsapevole, attaccando Hillary per l’eterno scandalo mail “cominciamo sbarazzandoci di lei, che dovrebbe già essere in galera!” Con l’attacco annunciato la folla è in delirio. Trump cita i report di Wikileaks, affermando come Hillary odi “i cattolici, i pentecostali, i mormoni: odia tutti i cristiani”: non a caso una fetta di elettorato essenziale per Trump e per i repubblicani. “Stracceremo l’Obamacare”: la tanto discussa riforma sanitaria di Barack Obama, rivoluzione copernicana negli States, che ha dato sì un’assicurazione obbligatoria a tutti gli statunitensi ma che li ha costretti contemporaneamente a una spesa obbligatoria, nel paese dello stato minimo. È questo uno dei terreni di massimo scontro tra repubblicani e democratici, e The Donald cavalca l’onda.
Il comizio si chiude col più classico degli inviti al voto e il saluto della bellissima figlia Ivanka. La folla, esaltata e impaziente di recarsi alle urne, defluisce pigramente all’esterno. Come in un concerto. Come per una rockstar.



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