Dopo la sorpresa per la vittoria di Trump, l’Alleanza atlantica si ferma a riflettere. L’Assemblea parlamentare della Nato si è, infatti, ritrovata a Istanbul per la sua 62sima sessione, a soli quattro mesi dal Summit tra i capi di Stato e di governo di Varsavia. È intervenuto anche il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, con un discorso che è sembrato rivolto non solo ai parlamentari ma anche e soprattutto a Trump ed Erdogan.
L’ASSEMBLEA PARLAMENTARE NATO
La delegazione italiana, guidata da Andrea Maciulli, ha segnato un successo in Turchia: Paolo Alli è stato eletto a nuovo presidente dell’Assemblea, incarico tra i più rilevanti nella struttura transatlantica. Ufficialmente, l’Assemblea parlamentare è un organo esterno alla Nato, non previsto dal trattato di Washington, fondato nel 1955 per riunire i rappresentanti dei parlamenti degli Stati membri al fine di alimentare il consenso politico intorno all’Alleanza.
LA QUESTIONE DEL BUDGET
Il segretario generale Stoltenberg, intervenendo ieri di fronte all’Assemblea, si è soffermato molto su alcune questioni che passano per i parlamenti nazionali. Tra di esse, ci sono la ratifica del trattato di accesso del Montenegro, che potrebbe subire un rallentamento qualora Trump confermasse una politica di maggior dialogo con Putin, ma sopratutto la questione del budget. “Che la spesa per la difesa degli Stati membri raggiunga il 2 per cento è davvero importante”, ha detto Stoltenberg. In ogni caso, “nel 2015 abbiamo fermato i tagli e abbiamo osservato un aumento della spesa in Europa e Canada. Mi aspetto un ulteriore aumento del 3 per cento per gli Alleati europei e il Canada quest’anno”. Dunque, “ci stiamo muovendo nella giusta direzione ma abbiamo ancora tanta strada da percorrere”, ha ammesso Stoltenberg in quello che è sembrato un messaggio di rassicurazione per il neo presidente eletto Donald Trump, fortemente critico nei confronti dell’eccessivo e sbilanciato impegno americano rispetto agli altri Paesi.
IL RAPPORTO CON TRUMP
“Attendo di lavorare con il presidente eletto Donald Trump”, ha detto il segretario Stoltenberg. “La partnership tra Europa e Stati Uniti – ha aggiunto – è stata solida per circa settant’anni; un partenariato che ha sempre ricevuto supporto bipartisan negli Stati Uniti”. Certamente, “una migliore divisione delle responsabilità renderà il legame transatlantico ancora più forte”, ha spiegato il segretario generale confermando la rassicurazione a Trump per una maggiore assunzione di responsabilità da parte degli Alleati europei. Già la scorsa settimana, telefonando a Trump per complimentarsi per la vittoria, Stoltenberg aveva ringraziato “il presidente eletto per il tema della spesa dedicata alla difesa durante la campagna”, un tema prioritario per il segretario generale sin dal suo insediamento nel 2014. Eppure, se sul budget i due condividono la stessa visione, resta da vedere come si concretizzerà la proiezione internazionale annunciata da Trump, commerciale e realista, non in linea con una visione idealista su cui invece poggia, almeno in teoria, la Nato, in difesa di valori quali “democrazia, libertà individuale e stato di diritto”, come ricordato a Istanbul proprio da Stoltenberg. Probabile comunque che il presidente eletto cerchi di dirottare la Nato verso un maggior dialogo con la Russia e un’azione più incisiva in Medio Oriente contro il Daesh, ma non è detto che ci riesca. Proprio per questo, il segretario generale ha tenuto a ribadire le decisioni che i capi di Stato e di governo hanno preso a Varsavia, sia sul fronte est che su quello sud: i quattro battaglioni multinazionali negli Stati baltici e in Polonia, operativi dai primi mesi del 2017; la brigata a guida rumena nella regione del Mar Nero; l’operazione Sea Guardian nel Mediterraneo; l’addestramento delle Forze irachene; il dispiegamento della sorveglianza aerea Awacs a supporto della coalizione anti-Isis; e il rafforzamento della cooperazione con l’Unione europea.
IN TURCHIA PER RICUCIRE CON ERDOGAN
Le parole di Stoltenberg sono però parse funzionali anche a un altro obiettivo: riavvicinare l’alleato turco. Non è un caso, infatti, che l’Assemblea parlamentare Nato si sia riunita a Istanbul, così come non lo fu il Summit in Polonia. Se a luglio si vollero rassicurare gli Alleati orientali, l’approdo in Turchia è sembrato un ulteriore tentativo di evitare il lento scivolamento di Erdogan nella sfera di Putin. Il tentato golpe e il successivo lungo repulisti del regime avevano fatto tramontare definitivamente l’idea di una Turchia all’interno dell’Unione europea ma anche presagire una rottura dei rapporti in seno alla Nato. Eppure, se il percorso di adesione all’Ue sembra ormai irrecuperabile, il legame con la Nato appare saldo, soprattutto da un punto di vista militare, data la rilevanza strategica di Ankara per la proiezione dell’Alleanza oltre il proprio fianco meridionale. Tuttavia, l’irrigidimento del governo turco su alcuni questioni interne, soprattutto legate alla gestione della dissidenza, non è un buon segno. La scorsa settimana Stoltenberg aveva mostrato un atteggiamento meno conciliante, richiamando Erdogan a un rispetto pieno di diritti umani e libertà fondamentali. Parlando all’Assemblea parlamentare Nato a Istanbul, Erdogan ha chiesto all’Unione europea di rendere più rigido il suo approccio nei confronti del Pkk, definito gruppo terroristico da Bruxelles, ma i cui membri, secondo il presidente turco, sono lasciati liberi di circolare nei Paesi del blocco europeo: “Coloro che hanno un atteggiamento esitante nei confronti di organizzazioni terroristiche saranno colpiti prima o poi”, ha dichiarato.