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Firenze 1966-2016. L’Alluvione, le alluvioni

Di Mario Primicerio e Giorgio Valentino Federici

Nel cinquantesimo anniversario dell’alluvione del 4 novembre 1966 oltre un centinaio di enti e organizzazioni pubbliche e private hanno aderito al progetto Firenze 2016 e cooperano per progettare e realizzare una svolta nell’affrontare le problematiche del rischio idraulico e, complessivamente, le questioni ambientali. L’anniversario, dunque, non solo per ricordare, ma come occasione per prepararci a un futuro che appare incerto e rischioso. I primi tre anni di attività del progetto hanno permesso di raggiungere dei risultati in termini di raccolta della memoria: ripresa di ricerca e documentazione sull’evento alluvionale del 1966 e monitoraggio dell’Arno, in particolare del tratto urbano di Firenze. I numerosi progetti predisposti per il post-anniversario hanno come obiettivo continuare le azioni in corso e proporre Firenze e la Toscana come punto di riferimento della comunità internazionale per le azioni e la sperimentazione di approcci innovativi, in particolare sulla resilienza delle città d’arte alle catastrofi naturali. Il Comitato del progetto è co-presieduto dal sindaco di Firenze Dario Nardella e dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, dando così conto di una dimensione regionale che nel 1966 vide tre quarti delle aree di pianura della Toscana colpite dal forte evento alluvionale. La ricorrenza sarà, infatti, ricordata in molti centri della regione colpiti.

Quella attuale è probabilmente l’ultima occasione per raccogliere, in modo sistematico e sufficientemente completo, le testimonianze, i documenti e le fotografie dell’evento del 1966. Le memorie raccolte sono quelle dei cittadini di Firenze e della Toscana, e degli “angeli del fango” che vennero da tutto il mondo in soccorso alla popolazione e ai territori colpiti. Il materiale raccolto viene proposto ai più giovani, coloro che non hanno vissuto quelle esperienze, ma che è bene le conoscano per affrontare un futuro che, inevitabilmente, sarà popolato da altri eventi catastrofici. La memoria, in fondo, serve soprattutto a chi le alluvioni non le ha ancora conosciute. In questi tre anni, gli aderenti al progetto hanno lavorato nella logica di render conto di quanto è stato fatto e di cosa resta da fare e si è anche cercato di rimediare alle mancanze, sia dal punto di vista dell’idraulica e della riduzione del rischio sia nel restauro delle opere d’arte alluvionate. Anche sotto il profulo della documentazione e dell’analisi scientifica, il Comitato ha cercato di colmare le lacune ancora esistenti, in particolare dedicando risorse alla catalogazione delle opere d’arte, dei libri, degli archivi alluvionati e raccogliendo storie ancora inedite con interviste ai cittadini, sia con l’intento di ampliare l’archivio sia per la ricerca di sociologia urbana sulla resilienza passata e futura di Firenze. La raccolta della memoria ha visto anche la partecipazione di numerosi istituti scolastici, con i giovani allievi che hanno permesso una migliore ricostruzione degli eventi grazie ai racconti di nonni e vicini di casa.

Una ricerca ha poi riguardato la solidarietà nazionale e internazionale di cui Firenze ha potuto beneficiare. La città si rialzò in pochi mesi anche grazie agli aiuti immediati che provenirono da tutto il mondo. Questo permise al sindaco Bargellini di ringraziare personalmente numerose città degli Stati Uniti quando, nel marzo del 1967, si recò negli Usa testimoniando la rinascita della città. Oltre settanta Paesi e varie associazioni pubbliche e private aiutarono Firenze in vari modi, anche negli anni successivi al 1966, ad esempio contribuendo al restauro delle opere d’arte.

Seguendo una logica di accountability, il progetto si propone di chiedere alla politica e all’amministrazione, all’università e al mondo della ricerca di render conto di quello che è stato fatto in questi anni. In questa direzione, per la prima volta in cinquant’anni, è stato costituito nel 2014, su incarico del sindaco Dario Nardella, un comitato internazionale per una valutazione indipendente che, oltre a fare il punto della situazione, identificherà gli interventi in  programma per la riduzione del rischio idraulico. L’International technical scientific committee (Itsc), questo il nome del comitato, nei suoi primi rapporti sottolinea il significativo rischio di inondazione al quale Firenze è esposta e l’esiguità delle azioni che sono state realizzate per contrastare la minaccia di un’alluvione catastrofica simile al tragico evento del 1966.

Dopo la tragedia, Firenze si risollevò in pochi mesi e la sua notorietà esplose a livello internazionale, incentivando il mutamento di una città che stava diventando sempre più turistica. Malgrado la distruzione di molte botteghe artigiane e di attività sociali ed economiche, dopo pochi mesi la tragedia evolse in un evento di resurrezione positiva. E allora la memoria oggi assume un aspetto eroico, gratificante e spiega come il dolore, la puzza del fango e della nafta siano passati e abbiano prevalso la rinascita della città e la capacità di reazione dei fiorentini aiutati dallo Stato, dalle altre città italiane non alluvionate, dai Paesi stranieri e dai giovani “angeli del fango” arrivati da tutto il mondo. Questa possibilità di ricordo, in qualche modo gratificante, che emerge dalle interviste recenti e dai documenti, è probabilmente dovuta al fatto che il numero di morti in città fu relativamente contenuto rispetto alla gravità dell’evento (17 in città, 35 nell’intera regione). In termini di vittime, infatti, non fu una tragedia delle dimensioni del Vajont tre anni prima, o dell’alluvione di Sarno, o dei terremoti del Friuli, de L’Aquila e di Amatrice.

Il ricordo delle alluvioni di questi cinquant’anni – in particolare di quelle più recenti che stanno aumentando in termini quantitativi e di impatto disastroso –, ci obbligano a riflettere sul problema del rischio alluvionale. Cosa possiamo aspettarci in riferimento al rischio idraulico per Firenze e per la sua area metropolitana? L’Autorità di bacino dell’Arno nel Piano difesa dalle alluvioni del 2015 indica che l’area metropolitana a valle del centro storico di Firenze è ad alta pericolosità idraulica. Il centro storico è in gran parte valutato a media pericolosità; una pericolosità che rispetto al 1966 non è sostanzialmente diminuita, perché non è stata conclusa alcuna opera significativa, pure finanziata, di contenimento delle piene. Si avrà una riduzione solo fra qualche anno (per il sessantesimo?), quando saranno realizzate le quattro casse di espansione previste nel Valdarno e l’innalzamento della diga di Levane, che il governo ha deciso finalmente di finanziare nel 2015 .

Per quanto riguarda il rischio idraulico, con cui si identificano i danni che le alluvioni possono produrre, esso è molto aumentato per i beni economici, le abitazioni e le infrastrutture, sia a Firenze sia nell’area metropolitana. Il danno ai beni culturali sarebbe in una certa misura ridotto perché molti beni mobili sono stati messi in sicurezza. Ma rimangono le statue, i palazzi e la città con i suoi tanti monumenti.

Il danno alle vite umane invece si suppone di eliminarlo o di contenerlo con attività di protezione civile. È questo, in effetti, il grande miglioramento rispetto al 1966. Firenze ha oggi un moderno piano di protezione civile. Il volontariato professionalizzato, erede degli “angeli del fango”, insieme ai Vigili del fuoco e a tutto il sistema della Protezione civile, costituiscono una rete di intervento efficiente e importante su cui poter contare nella gestione degli eventi.

Ma la domanda è: i cittadini seguiranno i piani di protezione civile? Li conoscono? Firenze ha una demografia molto diversa da allora: ci sono immigrati e turisti, e la popolazione è notevolmente più anziana di quella del 1966. Sarebbe in grado di reagire con la stessa prontezza e determinazione di cinquant’anni fa? Possiamo veramente sperare di avere meno morti del 1966 a fronte di un evento di simile gravità?

Le prossime alluvioni potranno assumere forme anche diverse da quelle storiche. Firenze è stata inondata una sessantina di volte negli ultimi ottocento anni. Le caratteristiche del bacino rendono inevitabili altri eventi, anche gravi secondo le tipologie storiche. Ci sono delle variazioni climatiche negli ultimi decenni che fanno pensare a scenari di precipitazioni che potrebbero produrre delle piene anche più gravi, sia sull’asta principale dell’Arno, sia dell’Ombrone, del Magra o sui loro affluenti e corsi d’acqua minori.

Il segnale del cambiamento climatico – quello delle bombe d’acqua, poi ripetutosi con frequenza crescente negli ultimi anni, anche su aree vaste come l’alluvione in Maremma del 2012 –, viene attribuito convenzionalmente all’alluvione della Versilia del 1996. Ma le condizioni economiche e sociali del post-1966 e del post-1996 permisero di affiancare alla solidarietà delle persone, delle Forze armate, dei Vigili del fuoco e del volontariato anche robuste risorse economiche che garantirono una rapida ripresa. Oggi ci sarebbero le risorse per far fronte a danni e risarcimenti di miliardi di euro, anche a fronte di un alluvione di dimensioni minori rispetto a quello del 1966? Potremmo contare sulla stessa solidarietà internazionale di allora in un mondo che ha continue emergenze economiche, politiche e sociali? E ci sarebbe la coesione sociale che espressero le parrocchie e le case del popolo di allora, con persone che nel dopoguerra avevano ricostruito la città e i ponti distrutti dai tedeschi in ritirata? È difficile capire come in cinquant’anni si sia fatto così poco per Firenze.

È indispensabile che continui la svolta iniziata negli ultimi anni nell’affrontare le problematiche del rischio idraulico a livello nazionale e regionale. Con #italiasicura il governo ha finalmente iniziato un diverso approccio alle problematiche del rischio idrogeologico. Oltre al finanziamento delle casse di espansione a monte di Firenze e l’innalzamento della diga di Levane, si può ricordare anche l’ingente finanziamento dello scolmatore del Bisagno a Genova che sblocca finalmente una questione che si trascinava da decenni. Anche il governo regionale, in particolare dall’alluvione di Aulla nel 2011, ha affrontato in modo nuovo le problematiche connesse al rischio idraulico, facendo sistema con l’Autorità di bacino dell’Arno, la Protezione civile e i consorzi di bonifica.

Il Progetto Firenze2016 continuerà nei prossimi anni con attività che vedranno la collaborazione dei numerosi enti che hanno partecipato al progetto nei primi tre anni e che realizzano le attività di sistema essenziali per affrontate gli eventi catastrofici che ci colpiranno nel nostro futuro. Questa rete di collaborazione è forse la cosa più significativa che si è realizzata a partire dal ricordo dell’alluvione del 1966 ed è la base su cui lavorare. La cooperazione fra le realtà territoriali è peraltro coerente con le indicazioni che provengono sia dalle politiche dell’Unione europea sia dalle Nazioni Unite – ad esempio con i documenti dell’United Nations Office for disaster risk reduction (Unisdr). In questa direzione si colloca, per esempio, uno dei progetti che il Comitato ha recentemente avviato, denominato “Prevenzione e resilienza delle città d’arte e del territorio alle catastrofi”, che vedrà la partecipazione di numerosi aderenti alla rete, a partire dall’Università degli Studi di Firenze, dal Cnr, dalle soprintendenze e dai musei di Firenze.

Mario Primicerio (Vice presidente del Comitato Firenze2016)

Giorgio Valentino Federici (Segretario del Comitato Firenze2016 e docente di Ingegneria civile e ambientale presso l’Università degli Studi di Firenze)

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