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Stiamo creando una generazione di zombie. Parola di Luciano Floridi

Per gestire il cambiamento ci vuole anche nuova managerialità (competenze sugli strumenti che sono cambiati), capacità di leadership (che si esercita attraverso modalità di comunicazione originali e potentissime), prontezza di riflessi (nel mettersi in discussione di fronte alle dinamiche esponenziali del mercato e perciò della società). Il leader deve rigenerarsi in designer e progettare storytelling multidimensionali. Non uomini o donne che non devono chiedere mai, né dittatori, ma guide in grado di coordinare i flussi e gestire la conoscenza.

La rete propone una realtà inaspettata che non è più filtrata dai media, dagli editori, dai giornalisti. È una pura e semplice proposizione non sempre interpretata dall’intervento umano. Luciano Floridi: “Nel recente passato gli eventi che potevamo controllare (anche socio-politici) si adattavano allo schema dei mass media: collocati nella fascia del prime time televisivo; adattati alle esigenze sceniche e temporali della Rai o della rotativa per la carta stampata. Era la storia ad adeguarsi ai media. Oggi non è più necessario: il povero politico o l’imprenditore, possono lanciare o essere oggetto di messaggi 24 ore al giorno. Ora sono i mass media che si stanno adattando alla storia non solo nel tempo, ma anche nello spazio. Tempo disarticolato, spazio sfondato. Facciamo attenzione a muoverci tra distopia e utopia. Bisogna esplorare gli scenari possibili”.

Un ciclo continuo, altro che nuovi media come li hanno chiamato i “vecchi” fino a pochi anni fa. Ma non i vecchi dei giardinetti… bensì quelli che ancora gestiscono le leve delle istituzioni, della politica, delle imprese e soprattutto dei media stessi. Arroccati e miopi, hanno generato un web a ventilazione forzata che presidia l’immaginario collettivo digitale senza liberarne le potenzialità.

“Nel delta, l’acqua dolce del fiume si confonde in quella salata del mare, diventa salmastra. Ed è in questa dimensione ibrida che crescono le mangrovie. Solo qui. La società dell’informazione è la società delle mangrovie. Né, né. Non più analogici, non ancora del tutto o definitivamente digitali. Il risultato è una contraddizione, se non un paradosso: il digitale consegna all’uomo la capacità di comunicare, registrare ed elaborare enormi quantità di dati. Ed è interattivo. Lo strumento più interattivo mai creato. Ma è vissuto – in larga parte dei soggetti di riferimento – in maniera passiva. Con una minima interazione costruttiva, interattiva. Questo perché siamo in una prolungata (troppo) fase di transizione: bisogna educare, uscire dall’ignoranza; informare, comunicare, conoscere”.

Ed ecco che – parola di filosofo by Oxford possiamo dare una definizione più smart al termine ignoranza che tanto ci affligge e un po’ spiega l’Italia…

“È l’assenza della domanda! La conoscenza è: domanda + risposta + capacità di spiegare perché la domanda e perché la risposta. Stiamo insegnando ai millennials a fare le domande giuste? Se la risposta è no, allora stiamo creando una generazione di zombie”.

Per essere ancora più chiari.

“Di fronte a noi ci sono due alternative: spugne e coralli, per usare un’altra metafora acquatica. Se creeremo una generazione di spugne che assorbono informazioni senza porsi le domande – giuste o sbagliate che siano – subiremo dei danni e resteremo ai margini del sistema. Se invece saremo capaci di forgiare una generazione di coralli che si generano e rigenerano, costruendo in modo creativo l’infosfera in cui crescono, allora saremo in grado di costruire scenari bellissimi. Perché questa seconda opzione si possa affermare occorre la partecipazione di tutti. Ci vuole un impegno socio politico vero… 30 anni fa i politici hanno perso il treno dell’innovazione tecnologica pensando a Internet come se fosse elettricità, acqua, telefono ecc. Molti l’hanno ignorata, e chi l’ha notata ha pensato: facciamola crescere questa Internet, poi la regoleremo. Grave errore: Internet non è una utility, ma il nuovo spazio in cui sempre più persone passano sempre più tempo. È una foresta di mangrovie che abbiamo lasciato crescere in modo un po’ sregolato e non sempre salubre. È per questo che si continua a parlare di leggi e regolamenti e non di progetto. Ma l’unico modo per non perdere il treno della tecnologia è sempre stato quello di essere alla stazione prima, per decidere quale tragitto percorrere”.

La capacità di Floridi è proporre concetti potenti e sofisticati con parole che sembrano materializzarsi nello spazio fisico e si scolpiscono nella mente. Come per esempio la “presenza altrove”.

La filosofia ci aiuta a mappare questo territorio nuovo (acque dolci e salate). Viviamo in questo delta del fiume dove le acque si mescolano. Siamo un po’ e un po’ e il concetto della presenza si è trasformato. Una persona che è localizzata sull’autobus, ma che sta leggendo Facebook è presente altrove”.

on, né off ma Onlife, la definizione nasce da una ricerca coordinata da Floridi su incarico della Commissione europea che parte dal presupposto che “la pervasività delle Ict le rende delle vere e proprie “forze sociali” che impattano in maniera radicale sulla nostra stessa concezione di “chi siamo” e sul nostro modo di concepire e relazionarci con la realtà circostante, assumendo un enorme significato etico, legale e politico. Un percorso con il quale abbiamo iniziato a confrontarci solo di recente e che è caratterizzato da quattro grandi trasformazioni: l’offuscamento della distinzione tra reale e virtuale; il venir meno della distinzione tra uomo, macchina e natura; la sostituzione di una condizione di scarsità di informazioni con una di abbondanza; il passaggio dai concetti di proprietà e relazioni binarie a quelli di processi e reti.

Quali capacità dobbiamo prefigurare allora per i nuovi leader in impresa?

“Devono essere localizzati in impresa, ma presenti altrove, dove ci sono i fornitori, i consulenti, il territorio, gli utenti. Ma anche nei sistemi globali. Compito difficile. Non inseguire gli eventi, reagire agli impulsi, ma guidare, essere a capo delle cose. Torna la metafora della stazione e del treno da prendere: bisogna arrivare prima e non rincorrerlo. Dare forma al futuro e non subirlo in maniera reattiva. La missione del nostro manager oggi è la proattività: per questo occorre investire in capacità e competenze che non invecchiano con le tecnologie quindi nell’apprendimento dei linguaggi, anzitutto la propria lingua-madre, poi l’inglese, lingua della comunicazione cosmopolita, quindi le tante lingue del sapere, soprattutto la matematica, la statistica, la logica, e la programmazione. Il limite della mia conoscenza è tracciato da tutte le voci di Wikipedia (in Italiano) che non posso capire perché sono scritte in un linguaggio che non parlo.

Da evitare accuratamente: farsi travolgere dall’enormità dei dati; schiacciare da algoritmi sempre più invadenti; intimidire da quel 95% della conoscenza non ancora concepita da qui al 2050; deprimere da quel 65% dei ragazzi oggi a scuola che faranno un mestiere che non è stato ancora inventato; allarmarsi perché chi oggi ha un lavoro potrebbe vederlo sparire dal mercato entro pochi anni. La domanda che dobbiamo affrontare ora e non domani è: qual è il progetto umano per una società dell’informazione matura? Le generazioni future ci giudicheranno sulla base della nostra risposta”.

La chiave, per tutti, resta quella di cambiare l’istruzione e l’aggiornamento. Forti di quanto può fare per noi la tecnologia: nel 2050 con un migliaio di euro di capacità di calcolo si potrà superare la potenza di elaborazione di tutti i cervelli umani messi insieme…

Quale mondo stiamo immaginando?


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