Tutto è appeso a un aggettivo: significativo. La recente risoluzione del Parlamento europeo, a proposito di Basilea 3, la cui normativa è ora in discussione nel competente Comitato per alcune variazioni che fanno parlare apertamente di Basilea 4, chiede che non si aumentino in modo “significativo” i requisiti patrimoniali imposti alle banche. Il vicedirettore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, ha del pari fatto riferimento, in un intervento, a quello che deve essere il carattere non significativo degli aumenti progettati. Viene poi richiesta gradualità nell’applicazione della riforma. L’ampiezza della significatività e, per converso, della sua negazione è tale che un giudizio potrà essere dato solo dopo avere effettivamente preso visione delle nuove norme.
Altre volte abbiamo messo in evidenza come da più parti, dalla selva delle istituzioni e degli organi competenti, vengano indirizzi che mirano pressoché costantemente a rafforzare il patrimonio degli istituti di credito, spesso ben oltre la ragionevolezza e con effetti non certo positivi, se non per i regolatori che, imperversando con la richiesta di dotazioni aggiuntive di capitale et similia, ritengono di raggiungere una propria personale tranquillità burocratica. Sennonché a Basilea, dove ferverebbero le discussioni anche in vista della prossima riunione in Cile, a Santiago, degli esponenti delle Vigilanze operanti nelle diverse giurisdizioni, il rappresentante della Bundesbank e quello della tedesca Bafin, in tempi diversi, sono passati al contrattacco sostenendo che non si deve raggiungere un accordo a tutti i costi. In particolare, essi non ritengono accettabile la tesi degli Usa fortemente rigoristica, a differenza di quella europea, e orientata a escludere o a limitare l’utilizzo dei modelli interni di valutazione dei rischi privilegiando in toto quelli standard.
Si potrebbe osservare che piace vedere, una volta tanto, la Germania contrastare con determinazione una particolare variante del rigorismo, sapendo bene, comunque, che ciò accade non puramente e semplicemente pro veritate, bensì per la protezione di non poche banche tedesche che utilizzano i modelli interni. È giusto opporsi alla escalation del rigorismo; va, però, rilevato che diversi esponenti tedeschi – gli stessi che vorrebbero introdurre un coefficiente di rischio sui titoli pubblici e che osservano fedelmente la linea Schaeuble (nella foto) secondo la quale la mutualizzazione dei rischi può avvenire soltanto dopo che questi siano stati ridotti – si attivano solo quando sono in ballo interessi nazionali e, allora, viene a cadere il rigorismo. Ovviamente, come si è detto, non perché in Italia le banche che adottano il modello standard sono la maggioranza – e, dunque, si pone in gradi minori la questione dei modelli interni – non bisogna sostenere una linea meno restrittiva. Si tratta, però, di cogliere l’occasione per arrivare a convergere su punti che sono di interesse più esteso e nei confronti dei quali i tedeschi assumono posizioni diverse, di terzietà o anche di non condivisione.
Occorre conseguire, dunque, l’obiettivo di un generalizzato non inasprimento dei requisiti, sapendo che poi il lavoro del Comitato dovrà passare per il trilogo (Parlamento europeo, Commissione e Consiglio), oltreché, in successione, per le istituzioni e autorità nazionali.
Ma poi occorre anche chiedersi se il rigorismo, in questo caso americano, sia destinato a durare, una volta che si sarà insediato alla presidenza Donald Trump, dal momento che si porrà il problema di come si possa conciliare una linea che, in materia bancaria, tenderebbe allo smantellamento della Dodd Frank e della stessa riforma di Obama, nonché, più in generale, alla deregulation, con l’inasprimento, diretto o indiretto, dei requisiti in questione.
In ogni caso, su questa materia contrassegnata dalla pluralità dei legislatori e dal dilagare delle norme occorrerebbe intervenire da parte del trilogo organicamente, piuttosto che far leva soltanto su aggettivi. Scelte importanti che impattano sull’iniziativa economica, sulla tutela del risparmio e sul sostegno alle economie sono, innanzitutto, di competenza degli organi rappresentativi della sovranità popolare, che non possono ritenersi subordinati alle tecnostrutture.
(Articolo pubblicato su MF, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)