Lo ha sottolineato con il suo abituale garbo Alberto Cribiore, vicechairman di Citigroup, a Silvia Berzoni di Class Cnbc che lo intervistava: il programma economico e finanziario di Donald Trump non è molto conosciuto, “e non lo è volutamente, in quanto il nuovo presidente americano aveva compreso che il suo elettorato non era tanto interessato ai dettagli, quanto al cambiamento stesso”. Come ricorda Bloomberg, durante le ultime settimane della campagna i principali banchieri americani erano pronti con la valigia già fatta per andare a trovare Trump e discutere delle sue idee economiche e finanziarie, salvo poi vedersi annullato l’incontro all’ultimo momento.
Alcuni punti però si possono collegare tra loro per avere un identikit della sua politica economica e finanziaria.
MENO TASSE E MENO GOVERNO
Ha promesso un profondo taglio delle tasse alle aziende, condizionandolo però al ritorno in patria dei capitali e delle fabbriche che le grandi corporation hanno spostato all’estero.
BRICK AND MORTAR
Trump ama l’economia reale: nel suo primo discorso ha precisato che rimetterà a posto le città, riparerà ponti, tunnel costruirà ospedali. Verosimilmente, lo farà aumentando il deficit e il debito pubblico puntando sull’aumento del pil per mantenere costante il rapporto tra le due variabili (anche se in uno dei suoi famosi twitter ha scritto che i fondi li otterrà tagliando quelli troppo generosamente concessi alle Nazioni Unite). Trump stima di raddoppiare il piano della Clinton, che era per 275 miliardi di dollari. “La sua politica è tendenzialmente inflattiva” ha commentato Cribiore. Da attendersi un indebolimento del dollaro.
HI TECH, NON UN GRANDE AMORE
Trump non ha un grande amore e non è riamato da Silicon Valley, con sparute eccezioni. Ha più volte puntato il dito sulle grandi liquidità detenute all’estero dalle grandi corporation, ma lo hanno fatto sfruttando gli stessi cavilli fiscali dei quali si è vantato di aver fatto uso…
COL MACHETE NELLA GIUNGLA DELLE REGOLE
Trump ha l’occasione storica di riformare il tax code federale, fatto di 74.608 pagine. I repubblicani possono farlo. Resta da vedere se gli interessi saranno comuni, cosa insolita. Poi ha promesso di avviare una forte deregulation in moltissimi settori, compreso quello bancario. Sotto esame sono la Dodd Frank e la Volcker Rule che ne fa parte e che impedisce alle banche di deposito di prendere posizioni speculative. Trump ha precisato di voler fare marcia indietro e alle banche andrebbe bene, salvo il fatto che hanno già investito miliardi per adeguare processi e strutture alle nuove norme. Ma Trump ha poi promesso di applicare una “versione da 21esimo secolo” del Glass Steagall Act, la legge che ha separato per 66 anni la banca d’affari dalle banche commerciali, abolita da Bill Clinton nel 1999. Quell’abolizione per molti è all’origine di tutti i mali bancari del XXI secolo e la sua reintroduzione farebbe bene al mercato, ma non sarebbe certamente gradita dalle banche, soprattutto quelle grandi.
TASSI E BORSE
The Donald non disdegna un rialzo del livello dei tassi, anzi. Lo desidera anche perché a suo parere il livello zero del costo del denaro ha provocato in borsa quello che per lui assomiglia a una bolla. E poi c’è Janet Yellen, entrata nel mirino perché non imparziale, il cui mandato scadrebbe nel 2018.
PROTEZIONISMO E FREE TRADE
Da candidato ha promesso di rivedere tutti i trattati e di minacciato di elevare i dazi a merci messicane e cinesi dal 35% al 45%. Ciò si tradurrebbe in una serie di rappresaglie sulle esportazioni americane e frizioni con i suoi alleati in Europa e Asia. Ma soprattutto capovolgerebbe un paradigma fondamentale in Usa, dove prima viene il consumatore, che ha diritto a prodotti al minimo prezzo possibile ed è protetto ampiamente dalla legislazione; poi viene il lavoratore, pagato poco, flessibile e meno protetto socialmente da sempre. Ora che ha promesso di non lasciare indietro nessuno dei suoi elettori delle regioni ex industriali del midwest, rovescerà questo paradigma? Wal mart e Amazon non sarebbero contenti.
BANCHIERI CONTRO, BANCHIERI A FAVORE
Uno dei suoi spot tv dell’ultima settimana elettorale ritraeva Lloyd Blankfein, il leader di Goldman Sachs, come l’essenza del partito dei globalisti che avevano depredato le tasche dei lavoratori americani a favore di pochi eletti. I manager di hedge fund sono poi accusati di dribblare brillantemente il fisco (sic). Eppure nel suo team di adviser c’è John Paulson, noto e controverso gestore di hedge fund e Stephen Feinberg, Ceo della Cerberus Capital management. In odore di nomina a segretario del Tesoro c’è poi Steven Mnuchin, un ex Goldman Sachs attualmente produttore cinematografico (suo l’ultimo film di Ben Affleck, the Accountant).