La settimana terminata il 20 novembre è stata caratterizzata, negli ultimi giorni, da clamori, timori e tremori mediatici : il “Financial Stability Report”, un documento che la Banca d’Italia ha l’obbligo di pubblicare a fine novembre, avrebbe presentato una connessione diretta tra l’esito del referendum istituzionale del 4 dicembre e l’andamento dei mercati finanziari. Alcuni commentatori, che penso abbiamo letto unicamente il sunto in italiano di un massiccio documento tecnico in lingua inglese, hanno anche paventato il caos finanziario in caso di sconfitta della proposta Renzi – Boschi alle urne. Uno studio legale sta addirittura predisponendo una denuncia per ‘aggiotaggio’ nei confronti di Palazzo Koch.
Indro Montanelli amava dire che i documenti vanno letti con attenzione, utilizzando il testo integrale nella versione originale ed avendo la professionalità per farlo. Il Financial Stability Report non è lettura né per praticanti di formazione letteraria. Tratta numerosi argomenti tecnici. Dipinge, invero, un quadro della finanza internazionale caratterizzato da crescente instabilità a ragione del probabile rallentamento della crescita mondiale e dal parimenti probabile aumento dei tassi d’interesse. Nella sezione relativa all’unione monetaria indica gli strumenti a disposizione dell’eurosistema per diminuire gli effetti dell’instabilità finanziaria mondiale sull’area dell’euro. Nei paragrafi dedicati specificatamente all’Italia dedica un cenno all’instabilità collegata al referendum (quale che sia il suo esito) ma sottolinea principalmente la debolezza del settore finanziario (il rapporto tra credito bancario e Pil resta ben al di sotto delle sue tendenze di lungo periodo), e come il miglioramento del mercato immobiliare e la riduzione della vulnerabilità finanziaria delle famiglie e delle imprese stiano migliorando il quadro. Sta anche migliorando la qualità dei nuovi fidi bancari, le riserve liquide aumentano, la capitalizzazione del settore bancario è più rosea che nel passato (come mostrato dal test EBA e dal miglioramento del rapporto CET1), si stanno riducendo le tensioni sui fondi d’investimento con una forte componente immobiliare. Ci sono aspetti meno positivi: il profitto del settore finanziario declina (e ciò incide sui valori delle azioni del comparto), i profitti del comparto assicurativo non migliorano, la banche sono esposte a shock. Il referendum viene, appropriatamente, inserito in questo contesto.
Il rapporto non dice – non era suo compito istituzionale dirlo – che la grande incertezza in materia d’instabilità finanziaria viene dall’altra sponda dell’Atlantico dove l’amministrazione Trump ha in animo tagli al gettito fiscale pari al 4% del Pil ed un programma di aumento della spesa pubblica per le infrastrutture americane di ben 550 miliardi di dollari. Anche se il Congresso modererà questi programmi e se lo stimolo di bilancio agevolerà la crescita Usa, unitamente all’imminente svolta della Federal Reserve, è facile prevedere un forte aumento dei tassi interesse che attirerà lo scompiglio sui mercati mondiale ed europei anche in quanto i capitali (il flusso è già in atto) voleranno verso la sponda americana dell’Atlantico.
Quale che sarà l’esito del referendum italiano, chiunque sarà a Palazzo Chigi, a Via Venti Settembre ed a Palazzo Koch, sarà alle prese con queste tensioni finanziarie provenienti da Washington.